Duomo di Pavia – Giovedì 18 marzo 2021
Distinte Autorità civili e militari,
Cari confratelli nel sacerdozio, carissimi fratelle e sorelle,
La celebrazione di oggi idealmente abbraccia le comunità e le famiglie della nostra città e diocesi, segnate dal dolore e dal lutto per la morte di persone care in questi mesi, a causa dell’epidemia, ancora in corso, o di altre malattie e circostanze. Ci stringiamo a loro nella preghiera e vogliamo esprimere e vivere un gesto di affettuosa memoria, di gratitudine e di fede.
Innanzitutto diamo voce al ricordo, pieno di affetto, per coloro che ci hanno lasciato: purtroppo molti sono mancati senza poter avere accanto i propri familiari, circondati dalle cure di medici e infermieri, tuttavia privi della carezza di chi più li amava, e spesso non abbiamo potuto salutarli, come si conviene, con la celebrazione dei funerali, ridotti a una semplice preghiera e benedizione sui sagrati delle chiese o nei cimiteri, con pochi familiari presenti. In questo momento vogliamo onorare la loro memoria, soprattutto la memoria del bene da loro compiuto: non dimentichiamo che i più anziani mancati nell’ultimo anno sono la generazione che ha vissuto ancora la guerra, che ha ricostruito l’Italia, che ha lavorato sodo, assicurando un futuro ai propri figli e nipoti, una generazione che ha saputo rialzarsi, testimoniando la forza di un popolo ancora animato dalla fede in Dio e dalla speranza cristiana.
La nostra preghiera, questa sera, assume anche il tono della gratitudine: sì, carissimi fratelli e sorelle, vogliamo ringraziare il Signore per il dono che questi fratelli e sorelle sono stati per noi e per le loro famiglie, per le loro comunità. Quanta ricchezza di vita e di valori, quante belle testimonianze di servizio hanno saputo esprimere, certo con i loro limiti e le loro fragilità, con luci e ombre! Tra loro ci sono persone, anche in età giovane o comunque ancora ben attivi, morte mentre svolgevano servizi essenziali, mettendo a rischio la loro salute, in particolare medici, infermieri, lavoratori nell’ambito della sanità e dell’assistenza, donne e uomini dediti al volontariato.
In questa occasione vorrei dire un grazie a tutti coloro che in questi mesi hanno continuato e continuano a impegnarsi, negli ambiti della vita civile e amministrativa, nel servizio all’ordine pubblico, nelle tante forme di servizio, nelle varie iniziative di carità e di soccorso: penso anche ai volontari che nelle nostre parrocchie, da mesi, ogni giorno, permettono il regolare svolgimento delle celebrazioni con un lavoro fedele di sanificazione degli ambienti e di accoglienza dei fedeli, penso a chi porta aiuto agli anziani soli nelle loro case, o alle famiglie più in difficoltà.
Come sempre accade, nelle ore della prova e della sofferenza, si manifesta quale tipo di umanità vibri in noi: grazie a Dio, accanto alla triste indifferenza o a comportamenti irresponsabili e superficiali, ci sono ancora, nella nostra Italia e nelle nostre terre, in città e nei paesi, persone, di ogni età, dai giovani agli anziani, che amano il loro lavoro e sanno compiere il loro dovere, che si lasciano toccare dalle sofferenze degli altri, che sanno condividere tempo, energie e risorse per dare un aiuto, per non lasciare indietro nessuno. Qui viene alla luce l’anima naturaliter cristiana che appartiene al tessuto profondo del nostro popolo e che rappresenta una grande forza di bene!
Siamo qui, soprattutto, per vivere un gesto di fede, che si esprime nella preghiera di suffragio per i nostri defunti e nell’ascolto della Parola di Dio, sorgente di luce e di speranza.
Certo, pregare per i nostri cari che ci hanno lasciato, significa professare la fede nel dono della vita eterna, oltre la morte, e compiere un’opera di pietà e di misericordia spirituale, che è la preghiera per i nostri morti. Ce l’ha ricordato la prima lettura, tratta dal secondo libro dei Maccabèi, dove Giuda, capo d’Israele si preoccupa di inviare una somma raccolta, perché sia offerto un sacrificio espiatorio per i giudei caduti in battaglia, «compiendo così un’azione molto buona e nobile, suggerita dal pensiero della risurrezione» (2Mac 12,43).
Nella preghiera per i defunti, noi esprimiamo non solo l’affetto e il ricordo, ma la speranza che non sono stati inghiottiti dal nulla, che essi vivono presso il Signore e il destino ultimo, che attende loro e noi, è la risurrezione, la vita eterna senza fine: «Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti» (2Mac 12,44).
In realtà, quando un nostro caro ci lascia, il nostro cuore intuisce e sente che tutto non può finire nel nulla, che quel volto, quell’esistenza, con le sue gioie e i suoi dolori, con le sue fatiche e le sue attese, con i suoi affetti, non possono essere ridotti a niente: sarebbe ingiusto e disumano vivere, avendo come prospettiva l’annullamento totale di ciò che siamo!
Ora, carissimi amici, questa naturale percezione, che caratterizza l’esperienza umana – tanto che da sempre gli uomini danno sepoltura ai morti e intrattengono in vari modi un dialogo con loro, sviluppando forme di culto e di preghiera – trova una nuova luce nella parola di Dio, e in modo definitivo nel mistero di Cristo, nella sua Pasqua di morte e di risurrezione.
Com’è bella e intensa la pagina del vangelo di Giovanni, appena proclamato: è il primo incontro tra Gesù e Marta, sorella di Làzzaro, a Betània. Làzzaro ormai da quattro giorni è nel sepolcro, dovrebbe essere già iniziato il processo inarrestabile della corruzione del suo corpo senza vita.
Il lamento di Marta ha dentro di sé quasi un rimprovero, e sono parole che trovano eco in noi, quando viene a mancare una persona cara: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (Gv 11,21). Magari in questi mesi, parole simili sono salite nel nostro cuore: «Signore, perché questa morte? Dov’eri? Perché sembri averci abbandonato? Se tu fossi stato qui, non sarebbe accaduto, questo nostro fratello, amico, non sarebbe morto!».
Non dobbiamo avere paura di esprimere a Gesù anche le nostre fatiche a comprendere, il senso di desolazione o perfino di ribellione che abbiamo potuto provare.
Ecco, proprio qui, carissimi fratelli e sorelle, può accadere un dialogo tra noi e Cristo, e possiamo sentire rivolte a noi le parole che Gesù rivolge a Marta, quasi provocando la fede di questa donna, già credente, come figlia del popolo d’Israele, e ora chiamata a un passo nuovo. Mentre lei, fedele alla parola delle Scritture, crede e attende la risurrezione di suo fratello, nell’ultimo giorno, alla fine dei tempi, Gesù annuncia il dono di una vita nuova, eterna, che va oltre la morte ed è promessa certa di risurrezione: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?» (Gv 11,25-26).
Questa sera, mentre con il pensiero e con l’affetto rievochiamo il volto e il nome di chi ha già varcato la soglia dell’eternità, lasciamoci raggiungere dalla rivelazione luminosa di Cristo e sentiamo rivolta a noi la domanda personale: «Credi questo? Credi che io sono la risurrezione e la vita e che chi crede in me, anche se muore, vive della mia vita di Risorto e non muore più?».
Stiamo camminando verso i giorni della Settimana Santa, nei quali rivivremo gli eventi finali e decisivi della passione, morte e risurrezione di Cristo: sono il cuore della nostra fede, la sorgente della nostra speranza, perché Gesù crocifisso, che condivide fino in fondo il dramma dell’umana sofferenza e della morte, e risorto, partecipe della gloria e della vita di Dio, è la testimonianza suprema che Dio è per noi, è dalla nostra parte, non ci lascia in balia del male e della morte.
Con questa speranza, avendo negli occhi il sepolcro aperto e spalancato di Làzzaro, anticipo e annuncio della risurrezione di Cristo, possiamo elevare una preghiera fiduciosa per tutti i defunti di questo anno, segnato dalla grande prova del Covid e con San Paolo, possiamo alzare un grido di fede e di vittoria: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? In tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati» (Rm 8,35.37). Amen!