Omelia del Giorno di Natale

25-12-2020

Natale del Signore – Santa Messa del Giorno

Duomo di Pavia – venerdì 25 dicembre 2020

Carissimi fratelli e sorelle,

La liturgia di Natale, nella sapienza della Chiesa, ci fa ascoltare ogni anno due passi evangelici molto differenti: nella Messa della Notte, è risuonato il racconto di Luca che narra la scena della nascita di Gesù, a Betlemme, nella povertà di una mangiatoia, accolto dai pastori. È la scena che rappresentiamo nel presepe, la memoria dell’evento nella sua cornice reale e storica, ai tempi dell’impero di Cesare Augusto, nei giorni del primo censimento. Nella Messa del Giorno, è stato appena proclamato l’inizio del quarto vangelo, il celebre prologo di Giovanni: è un testo di grande intensità e profondità, frutto di una riflessione che l’evangelista ha compiuto in un tempo prolungato. Rileggendo nella memoria e meditando ciò che egli ha visto, ascoltato, contemplato negli anni vissuti accanto a Gesù, Giovanni penetra nel mistero di Cristo: un uomo reale, con un volto unico, che agli occhi stupiti dei primi discepoli, si è progressivamente manifestato nella sua identità. Un uomo che è il Figlio di Dio, il suo Figlio unigenito, la Parola vivente di Dio, che ha assunto la nostra umanità, e in Gesù si è fatta carne, esistenza, storia.

Questo è l’evento del Natale, che si dischiude in pienezza solo agli occhi della fede, e proprio se percepiamo la grandezza immensa dell’avvenimento, di questo Dio che si fa vicino a noi, uno di noi, allora viviamo la festa del Natale, che si distende nei giorni successivi dell’Ottava e del tempo natalizio, andando ben oltre un vago sentimentalismo, o peggio un rito un po’ vuoto, che si risolve in una gara ai regali – quest’anno ridotta – e in giorni di vacanza, magari sulla neve – quest’anno impossibili a farsi! Nell’ultima udienza generale Papa Francesco ricordava: «Il cristiano sa che il Natale è un avvenimento decisivo, un fuoco perenne che Dio ha acceso nel mondo, e non può essere confuso con le cose effimere». Sì, è un fuoco perenne, perché è l’inizio di una presenza che non viene meno, che si fa incontro a noi attraverso molteplici vie, attraverso il dono di testimoni e di amici nella fede, attraverso la vita della comunità cristiana, attraverso la parola del Vangelo e delle Scritture, attraverso i segni sacramentali, in particolare l’Eucaristia, attraverso la carne sofferente dei poveri, dei malati, dei carcerati, degli esclusi.

Qui sta, proseguiva il Papa, «il nucleo incandescente della nostra fede, che è questo: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14). E questo è il nocciolo del Natale, anzi: è la verità del Natale; non ce n’è un’altra».

Carissimi amici, proprio in questo Natale, segnato dalle restrizioni e dalle preoccupazioni dell’epidemia ancora in corso, siamo provocati, dalle stesse circostanze, a ritrovare il senso vero di questa festa, a riscoprire l’evento dell’Incarnazione come il cuore della fede e la sorgente di una speranza e di una gioia che possono attraversare ogni pessimismo e ogni tenebra.

Dobbiamo riconoscerlo: in questi decenni, soprattutto nel nostro mondo sviluppato, nelle nazioni di tradizione cristiana, è in atto uno svuotamento del Natale ridotto alla festa dell’inverno, della pace e della bontà, e si arriva a non poter più nominare Cristo, il Festeggiato!

Forse i semplici e i poveri ci possono “evangelizzare”, come testimonia un articolo del quotidiano Avvenire pubblicato in questi giorni: «Qualche anno fa un vescovo raccontava che durante un viaggio negli Stati Uniti proprio nel periodo natalizio, chiese alla commessa di un negozio perché al suo ‘Merry Christmas? avesse risposto con un generico ‘happy holidays’. E si sentì rispondere: “Non lo possiamo più dire”. Il politicamente corretto imperante. O meglio, un malinteso senso del rispetto di altri credi religiosi (e dell’agnosticismo) per cui non si può più proclamare la verità sul Natale. Ma due giorni fa, ecco la sorpresa. Incontro all’angolo della strada dove abito un ragazzo di colore che mi tende la mano. Mi fermo a dargli una moneta. E lui non mi dice “grazie”, ma semplicemente”».

Un Natale senza Cristo è l’esito di un cristianesimo ridotto a “buoni sentimenti”, a “riserva etica” per la società, un cristianesimo che alla fine va bene a tutti, ma non ha più nulla di grande e di vero da dire al cuore dell’uomo. D’altronde, già nel testo del prologo di Giovanni, appare con chiarezza il carattere drammatico dell’avvenimento cristiano, perché davanti a una presenza come quella di Cristo, con l’inaudita pretesa di essere lui il senso e il cuore della realtà, in quanto Dio fatto uomo, la libertà è chiamata a decidersi: o si apre nell’accoglienza della fede, o resta indifferente, e in tal modo di fatto lo esclude dall’orizzonte, oppure può assumere addirittura una posizione ostile che facilmente si esprime come opposizione alla Chiesa, come persecuzione e discriminazione, più o meno soft, dei credenti, che non si lasciano assimilare dal mondo, dalla mondanità.

Giovanni è chiaro: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,9-11).

Carissimi fratelli e sorelle, la luce è quel bimbo inerme, nato nella notte di Betlemme, è quel giovane uomo, l’ebreo Gesù di Nazaret, che rende presente nella storia un’umanità piena di grazia e di verità, un’umanità in cui traspare l’amore appassionato di Dio che viene a cercare noi perduti, smarriti: è l’umanità divina di Cristo che ci tocca e ci attira, che si riflette nel modo d’essere e di agire dei suoi amici e dei suoi testimoni, dei santi di ogni tempo, anche quelli che incrociamo nel nostro cammino. Ecco il Natale è davvero una realtà che riempie la vita di gioia e di pace, senza annullare le fatiche e le prove dell’umana esistenza, anche quelle che stiamo attraversando in questi mesi: «Dio non ci ha guardato dall’alto, da lontano, non ci è passato accanto, non ha avuto ribrezzo della nostra miseria, non si è rivestito di un corpo apparente, ma ha assunto pienamente la nostra natura e la nostra condizione umana. Non ha lasciato fuori nulla, eccetto il peccato: l’unica cosa che Lui non ha. Tutta l’umanità è in Lui» (Francesco, Udienza generale, 23/12/2020).

Vissuto in questa luce, il Natale apre il cuore a condividere il cammino dei fratelli e delle sorelle in umanità, a vivere la carità nei rapporti quotidiani e nell’attenzione concreta a chi soffre, a chi sta peggio di noi, a chi è solo e desolato, come dono commosso di se stessi agli altri. Se noi siamo raggiunti dalla presenza e dalla tenerezza di Gesù, se il Padre in Cristo si china sulla nostra miseria per risollevarci, scopriamo che davvero la carità è la legge della vita, che la vita vale per essere data, donata, consumata nell’amore, nel servizio, nel prenderci a cuore il destino dell’altro.

In questo momento storico, questa è la prima e fondamentale testimonianza che possiamo vivere e dare come cristiani: il riconoscimento grato e stupito dell’amore di Dio, incarnato per noi in Gesù, non può lasciarci “tranquilli” davanti al dolore e alle fatiche dei nostri fratelli. Se c’è una grazia nascosta anche nella prova dell’epidemia, è proprio il fiorire di uno spettacolo di bene, testimoniato da una schiera immensa di uomini e donne, e qui c’è il frutto di una memoria cristiana, presente anche in persone che si dicono non credenti o che non vivono pienamente la vita della fede: medici, infermieri, operatori della sanità, addetti ai servizi essenziali, volontari e operatori nelle mille forme del volontariato, e poi tante persone anonime che condividono un po’ dei loro soldi e delle loro risorse, del loro tempo, che contribuiscono a far crescere una fraternità concreta, che tiene insieme il tessuto delle relazioni.

Questa sia la grazia del Natale nell’anno del Signore 2020: un cuore che riprende ogni giorno a sperare, perché sa di non essere abbandonato dall’amore misericordioso del Padre e dalla compagnia fedele di Cristo, un cuore che si fa dono commosso e gratuito ai fratelli. Amen!