Funerale di Don Severino Barbieri

15-04-2021

Carissimi fratelli e sorelle, cari confratelli nel sacerdozio,
Nel clima di speranza del tempo pasquale, il nostro caro Don Severino, dopo una lunga vita (90 anni), vissuta con fedeltà nel sacerdozio – era stato ordinato con il nostro Don Antonio Giorgi il 31 maggio 1958 – ci ha lasciato, per vivere la sua Pasqua, da questo mondo al Padre.
Lo accompagniamo con affetto e con la nostra preghiera e chiediamo al Signore di accoglierlo nella gioia del cielo, nella grande comunità dei santi e dei beati. Allo stesso tempo, siamo vicini alla sorella Lina, con i nipoti e gli altri familiari, alla sua fedele “badante” Lella che dal 1997 gli è stata
accanto. Ringraziamo il Signore per il dono della vita e del ministero di Don Severino, che ha svolto in tante comunità della nostra diocesi, fino agli ultimi anni di servizio, come collaboratore pastorale in questa chiesa di Santa Maria del Carmine: in queste ore, chissà quanti ricordi si fanno vivi e presenti nel cuore dei molti fedeli che hanno incontrato Don Severino, quanti fili e legami si sono stabiliti, attraverso il lungo ministero di questo nostro fratello, chiamato a essere pastore e guida, che ha donato il pane della Parola e dell’Eucaristia, e ha intessuto relazioni con i volti concreti delle persone nelle diverse parrocchie, nelle strutture di cura in cui ha svolto l’attività di cappellano (le “Residenze Heliopolis” a Binasco e la Clinica Morelli qui a Pavia), nella Famiglia dell’Ave Maria, di cui è stato assistente spirituale dal 2011 al 2016.
Nella prima lettura, tratta dall’Apocalisse, la visione che si dischiude al veggente riguarda il mistero del giudizio finale, nel quale finalmente la morte è vinta, il caos e il male, rappresentati dalla forza minacciosa del mare, sono sconfitti: «E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono. E i libri furono aperti. Fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati secondo le loro opere, in base a ciò che era scritto in quei libri. Il mare restituì i morti che esso custodiva, la Morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere» (Ap 20,12-13).
Nel libro della vita, è custodita la memoria di ogni esistenza umana: tutto ciò che un uomo ha vissuto, ha compiuto, il bene realizzato e insieme le sue povertà, i suoi peccati, le sue debolezze. Tutto è posto nella luce della verità e della misericordia di Dio. Ora, nel mistero della morte e del giudizio che immediatamente accade, tutta la vita di una persona si fa presente sotto lo sguardo del Signore risorto: in questo momento possiamo pensare al lungo cammino percorso da Don Severino, in novanta anni di vita, e alla ricca operosità che ha segnato il suo ministero di prete, finché ha avuto energia e salute.
L’autore dell’Apocalisse ci ricorda per due volte che i morti sono giudicati secondo le loro opere, perché ciò che ciascuno di noi realizza è il riflesso del cuore, orientato al bene e a Dio: certamente Don Severino, che era un sacerdote attivo, dedito al suo ministero, aperto anche a forme di comunicazione innovativa – mi hanno raccontato che era un “radioamatore” e sicuramente, avrebbe utilizzato ampiamente i mezzi dell’attuale comunicazione digitale! – può presentarsi al Padre con una ricca messe di opere buone, compiute nella semplicità e nella fedeltà della sua dedizione sacerdotale e Dio solo sa il peso e il valore di questo bene seminato nei solchi della vita di tante persone, attraverso la sua preghiera d’intercessione, la celebrazione dell’Eucaristia e degli altri sacramenti, l’annuncio della Parola nella predicazione e nella catechesi, la vicinanza ai malati e ai sofferenti, i gesti nascosti di carità, il tempo speso nell’ascolto delle persone, nel silenzio del confessionale.
Mi hanno detto che si definiva un “prete della vanga”, più che un “prete della penna”, indicando così la sua propensione al servizio pastorale diretto tra la gente: lui stesso veniva da una famiglia semplice di lavoratori, contenta e quasi orgogliosa della scelta vocazionale del loro Severino. Fin dagli anni del seminario si era fatto apprezzare dai superiori per la sua allegria e disponibilità, assumendo anche incarichi di accompagnamento dei più piccoli. Come sacerdote, aveva un atteggiamento di obbedienza al vescovo, di condivisione con quanti gli erano stati affidati, e nello stesso tempo era animato dal desiderio di suscitare rinnovamento, disposto egli stesso al cambiamento, quando ne avvertiva l’opportunità. La sua parola ai fedeli era semplice e diretta, con il ricorso frequente alla presentazione dei santi, che gli offrivano immagini esemplari di vita evangelica. Sapeva anche cercare aiuto, quando capiva di trovarsi davanti a esigenze che andavano oltre le sue possibilità e capacità.
Così, una lunga parte dell’esistenza di Don Severino è stata il tempo delle opere: ovviamente, ci saranno stati in lui, come in tutti noi, anche imperfezioni, difetti, debolezze e peccati, che però non hanno mai fatto deviare questo nostro fratello dal suo cammino di fedele sequela di Cristo e di servizio al popolo santo di Dio. Tutto affidiamo, con grande fiducia, al Dio delle misericordie!
Nella parte finale della sua vita Don Severino apparentemente è stato meno attivo e operoso, in realtà ha vissuto una comunione nella sofferenza con il suo Signore, e ha accettato, ha vissuto il gesto più grande della libertà: ha consegnato se stesso a Dio, giorno dopo giorno, sopportando con
pazienza ricoveri, operazioni, disagi, limitazioni sempre più rilevanti. Mi sembra di poter dire che, pur con le sue fatiche, è stato fedele fino alla fine, ha vissuto nella sua carne e nella sua anima, le parole di Gesù in croce, appena ascoltate: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Io l’ho conosciuto in questi ultimi anni, quando era già limitato da problemi di salute, da una crescente debolezza e soprattutto nell’ultimo anno, quando è iniziato il pesante lock down nella primavera dell’anno scorso, ho avuto modo di incontrarlo più volte, portandogli la comunione o semplicemente un saluto. Non ho avuto il dono di conoscere Don Severino quando era nel pieno della sua attività: la sua voce forte si è fatta sempre più esile, la sua mente vivace si è progressivamente indebolita, pur restando cosciente e vigile fino alla fine, fino all’ultimo incontro con lui, sabato scorso, quando ho potuto amministrargli l’Unzione degli infermi e il Santo Viatico, già ricoverato al San Matteo. Ebbene, carissimi amici, mentre in queste ultime settimane, andava facendosi sempre più piccolo ed esile, nel suo letto, e si spegnevano le sue forze, non si lamentava: era capace sempre di un sorriso, magari accennato, nel salutarmi, accoglieva il dono dell’Eucaristia o della mia benedizione, e finché ha potuto, si teneva al corrente della vita della diocesi, attraverso il settimanale “Il Ticino” e più volte, mi diceva che, leggendo “L’agenda del vescovo”, mi seguiva, con la preghiera. Prete fino in fondo, unito alla sua Chiesa.
Così, potremmo dire che il cammino iniziato per lui nel giorno del suo battesimo, si è compiuto, attraverso una progressiva spoliazione di sé, e le parole dell’apostolo che abbiamo ascoltato, hanno preso carne nella lunga esistenza di Don Severino: «Fratelli non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,3-4).
Sì, carissimi fratelli e sorelle, nel battesimo siamo stati immersi nella morte di Cristo, sepolti con lui, morendo al peccato, e la comunione con la morte del Signore, accolta da Don Severino nel tempo della sua sofferenza, ora si compie per lui, nella sua morte, che apre il cammino alla risurrezione. Già come uomo credente, che si è lasciato educare e plasmare dalla maternità della Chiesa, fin dalla sua famiglia cristiana, e poi come sacerdote di Cristo, fedele nel servizio, Don Severino ha camminato in una vita nuova, ha pregustato, nella sua umana debolezza, il pegno e l’anticipo della risurrezione. Con questa speranza, celebriamo l’Eucaristia per l’anima di questo nostro fratello, perché ora possa vedere nella luce il suo Signore e partecipare in pienezza della vita nuova di Cristo risorto. Amen!