Festa della conversione di Sant’Agostino – Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro – Pavia

24-04-2021

Eccellenza carissima e Reverendi Padri agostiniani, carissimi fratelli e sorelle,

In questo giorno celebriamo la festa della conversione e del battesimo di Sant’Agostino, ricevuto da Sant’Ambrogio nella notte tra il 24 e 25 aprile, nella veglia di Pasqua del 387 a Milano, e con questa Santa Messa entriamo già nella quarta domenica di Pasqua, chiamata tradizionalmente “Domenica del Buon Pastore”, perché al centro del Vangelo sta la parabola giovannea del pastore. È una coincidenza provvidenziale, perché il nostro Agostino, oltre ad essere un uomo di pensiero, un profondo teologo, nutrito dalle Scritture, è stato innanzitutto un pastore: un uomo di Dio, che nel cuore avrebbe desiderato proseguire la vita religiosa fraterna, dedicata alla preghiera, alla meditazione e allo studio della parola di Dio, che ha accolto la chiamata inattesa di diventare presbitero e poi vescovo della Chiesa d’Ippona, dal 397 fino alla morte nel 430.

Nei suoi scritti, soprattutto nelle sue omelie, più volte Sant’Agostino ha messo in luce la missione e la figura dei pastori fedeli, nei quali si manifesta la presenza dell’unico Pastore di tutti, e ha condannato i falsi pastori, coloro che assumono il ruolo di capi, senza viverne i compiti e i doveri, giungendo ad approfittare della loro posizione per i propri vantaggi o per sviare il gregge dalla via della verità. Spesso il testo evangelico commentato era proprio il capitolo decimo del vangelo di Giovanni, dove Gesù, rivolgendosi ai farisei e ai capi religiosi del popolo giudaico, utilizza l’allegoria del pastore per parlare di sé e per mettere in guardia da coloro che non sono pastori: sono ladri che non entrano dalla porta dell’ovile, o mercenari, che non hanno un vero legame di affetto e di conoscenza con le pecore del gregge.

Così, fratelli e sorelle, possiamo lasciarci illuminare dalla parola e dalla testimonianza di Agostino, nel riflettere sulla chiamata a essere pastori nel e per il popolo di Dio: allo stesso tempo, in questa domenica, Giornata Mondiale per le Vocazioni, preghiamo perché il Signore non faccia mancare i suoi pastori alla Chiesa, alla nostra Diocesi, perché susciti nel cuore di tanti giovani la chiamata e la disponibilità a una piena dedizione a Lui e al Vangelo, nel ministero sacerdotale, nella vita consacrata – anche nella famiglia religiosa agostiniana – e missionaria. In particolare preghiamo per il nostro seminario, che ha tanto bisogno di nuove vocazioni, perché sia davvero un luogo amato e prezioso, dove si formano i futuri sacerdoti per le nostre comunità.

«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore» (Gv 10,11): nel testo originale si parla di un «pastore bello»; in realtà bontà e bellezza si richiamano a vicenda nel pensiero greco, di cui si è alimentato anche Agostino, nei suoi studi e nella sua pratica di retore, e insieme al bene e alla bellezza, si associa anche la verità, come tre dimensioni fondamentali dell’essere. In questo senso, Cristo è il pastore non solo buono e bello, ma anche vero, perché realizza pienamente la realtà rappresentata dalla figura del pastore. Com’è noto, nella tradizione biblica, il pastore è un’immagine di Dio, che guida il suo popolo e si prende cura d’Israele e così le guide d’Israele, come i re, nella misura in cui sono riflesso fedele di Dio, sono anche pastori buoni e solleciti, che hanno a cuore il bene del popolo. Purtroppo, accanto ai pastori autentici, esistono anche i cattivi pastori, le guide false che usano del loro potere per i propri interessi, esistono quelli che nel vangelo di oggi sono chiamati «mercenari» ai quali non interessa la sicurezza del gregge.

Ciò, naturalmente, può accadere nella vita della Chiesa, o nella vita civile: autorità che vivono la loro responsabilità come servizio, e capi, religiosi o politici, che usano del loro potere per se stessi, per la propria gloria e i propri beni. Ovviamente noi ora rivolgiamo la nostra attenzione alla verità dell’essere pastore, che risplende in Gesù, e alla responsabilità grave che coinvolge chi nella comunità cristiana è chiamato a essere segno trasparente di Cristo pastore e capo: innanzitutto il Papa e i vescovi, e, modo a loro proprio, i presbiteri, diocesani e religiosi.

Nel passo evangelico, si rendono evidenti i caratteri del vero pastore, incarnati in Gesù e nel suo modo di essere e di vivere la missione ricevuta dal Padre, e che noi pastori siamo chiamati a fare nostri, ad assumere come stile di vita, se non vogliamo diventare dei mercenari, dei “funzionari del sacro” ai quali, in fondo, non interessa il bene del gregge, delle persone e delle comunità.

Il buon pastore dà la vita per le pecore, perché gli appartengono, ed egli si sente legato a loro, al loro destino: è un dare la vita che si esprime innanzitutto nel servizio fedele e disinteressato, generoso e lieto, che non sta a misurare continuamente ciò che dona e ciò che riceve, e che può giungere anche all’estremo sacrificio di sé, come Cristo sulla croce, come i tanti pastori martiri nella storia antica e recente della Chiesa. Lo stesso Agostino rimase a Ippona, ormai sotto l’assedio dei Vandali, ben sapendo che cosa rischiava e la morte lo colse prima della presa e del saccheggio della città: questa disponibilità a morire con il suo popolo era solo l’ultimo frutto di un ministero instancabile e appassionato, nel quale il santo vescovo non risparmiò energie, affrontando con coraggio e lucidità i lupi che, di volta in volta, insidiavano la vita del suo gregge. Pensiamo al suo inesausto impegno contro le eresie del suo tempo, il donatismo e il pelagianesimo, che seminavano errori e confusione nella Chiesa, ed è impressionante come Agostino, pastore di una piccola diocesi africana, si sia aperto ai bisogni e alle sfide della Chiesa intera del suo tempo!

Qui, carissimi, possiamo chiedere, attraverso l’intercessione di Sant’Agostino, il dono di pastori coraggiosi, che per amore della verità, non indietreggino di fronte ai lupi, spesso travestiti da pecore, che fomentano divisioni e tensioni nella Chiesa, o annacquano e deformano l’annuncio pieno della fede e della sana dottrina: «Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore» (Gv 10,12-13). Vengono in mente le parole drammatiche che il Papa emerito Benedetto XVI, grande amante e cultore di Agostino, pronunciò nella messa d’inizio del suo pontificato, e che possiamo fare nostre, come preghiera per tutti i pastori, Papa, vescovi e sacerdoti: «Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il suo gregge – voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente e voi tutti insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi. Preghiamo gli uni per gli altri, perché il Signore ci porti e noi impariamo a portarci gli uni gli altri».

C’è una seconda caratteristica fondamentale dell’autentico pastore: «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore» (Gv 10,14-15). Nasce un rapporto di reciproca conoscenza tra il pastore e le sue pecore, ed è una conoscenza personale, non generica e fredda, che diventa amore e che si manifesta nel dono della vita per le pecore: il pastore entra in una relazione con la sua Chiesa, con la sua comunità, con le persone affidate alle sue cure. Si sente solidale con esse: per Cristo c’è un legame di appartenenza, perché siamo suoi, siamo il suo popolo, la sua Chiesa, il suo gregge. Per noi pastori, c’è un legame di comunione, perché noi stessi, io vescovo e i sacerdoti con me, siamo parte di questo gregge.

Sì, carissimi amici, se Gesù è allo stesso tempo pastore e agnello, in modo ancora più radicale noi pastori siamo innanzitutto pecore del gregge di Dio, siamo discepoli prima che maestri, cristiani prima che pastori: per questo motivo vivere la vocazione e la responsabilità di essere pastori è vivere un servizio di umile amore, e sarebbe assurdo assumere atteggiamenti di distacco, di comando, di superiorità, cadere in un clericalismo infecondo e triste, tante volte stigmatizzato dal nostro Papa! Sant’Agostino, lo sappiamo bene, aveva di ciò una coscienza limpida: «Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano. Quel nome è segno dell’incarico ricevuto, questo della grazia; quello è occasione di pericolo, questo di salvezza» (Discorso 340,1).

Preghiamo il padre Agostino, per tutti i pastori della Chiesa, perché siano davvero pastori secondo il cuore di Cristo e preghiamo il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe! Amen.