Seminario Vescovile: una famiglia che accoglie in un abbraccio di fede

Il settimanale diocesano “il Ticino” riporta nel numero 42 di venerdì 24 novembre uno speciale di due pagine dedicato al Seminario Vescovile, ai quattro giovani attualmente in cammino e in residenza e alla Festa di Sant’Andrea. Riportiamo di seguito una piccola parte dell’articolo che racconta principalmente la testimonianza di Alessandro Zaliani, Luca Sala, Elia Cobianchi e Giacomo Marini (in foto principale con il Rettore del Seminario Vescovile don Giovanni Iacono, con il Vescovo Corrado e con don Emanuele Sterza). 

Di solito, quando un giornalista deve scrivere un pezzo su un evento, prende contatti con i diretti interessati e fa domande, spesso in forma di intervista. E’ la prassi, è il lavoro da svolgere. Poi, siccome questo mondo è tutto in costante accelerazione (chissà poi perché), il giornalista corre e corre da un posto all’altro cercando di dedicare la giusta attenzione a tutto ma rendendosi conto che ci riesce poche volte. Il risultato è un articolo che descrive tutto, magari anche per bene, ma con poca anima.

La persona che firma l’articolo, come da prassi, ha quindi nei giorni scorsi chiamato il Rettore del Seminario Vescovile di Pavia, don Giovanni Iacono, chiedendogli un’intervista. E da quel momento è cominciato un viaggio fatto di accoglienza, relazione, rispetto e amicizia e del tutto inaspettato.

Tè e biscotti in sala da pranzo

L’appuntamento per l’intervista in Seminario è alle 18, tardo pomeriggio di una giornata (per chi scrive) campale. L’accoglienza avviene sotto le volte del Seminario (leggasi, chiostro del Monastero di Santa Maria Teodote, luogo quasi magico), una luce lontana illumina gli archi, c’è quel silenzio che sa di pace che fa allargare il cuore e ampliare il respiro. Si sale al primo piano con il Rettore e si entra nella parte residenziale. C’è un lungo corridoio, illuminato fiocamente ma con il pavimento talmente lucido che pare che le luci si moltiplichino. In fondo, due giovani escono ridendo da una stanza, portano un bollitore e delle scatole di biscotti. “Ti accogliamo così – dice don Giovanni Iacono -, questa sera condividi con noi il nostro momento del tè con i biscotti”. Ecco, il senso del Seminario oggi: un luogo dove si viene accolti, si diventa fratelli uno accanto all’altro condividendo esperienze, preghiere, vita comune, contribuendo ognuno ad un tratto di cammino dell’altro, esprimendo dubbi e punti di vista, rispettando se stessi e gli altri, lasciandosi guidare con cuore fiducioso. Fiducia che emerge proprio dal contatto umano, dal sentirsi accolti e accettati, dal capire, un passo alla volta, qual è la vocazione della propria vita.

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Essere in Seminario oggi, le attività nelle parrocchie

Ogni weekend Giacomo, Luca, Alessandro ed Elia si recano nelle varie parrocchie diocesane per avviare la loro prima esperienza pastorale: “E’ una grande occasione – dice Giacomo – perché ti permette di vedere le differenze e gli elementi in comune che hanno, pur nella varietà. Tutte guardano a Dio, che è la meta di ogni cosa. Le differenze sono bellezza e l’esperienza è arricchente pure per conoscere il territorio a cui ci doneremo se questa davvero sarà la nostra strada”. “Muoverci insieme è importante – aggiunge Alessandro -, ci aiuta a condividere tra noi quello che viviamo in maniera diretta, ci confrontiamo e coordiniamo, nell’ottica del lavoro insieme. E questo è importante per il futuro: i sacerdoti devono lavorare insieme, sempre. Noi lo stiamo facendo già da oggi”. Interviene anche Elia: “Con questa modalità settimanale cerchi di goderti al massimo tutto il tempo in quella comunità, ottimizzando le attività e rendendole intense”. “Questa esperienza pastorale ci permette anche di entrare in contatto con i vari sacerdoti – conclude Luca -, ognuno a modo suo ci lascia qualcosa anche a livello personale, sia quando vengono qui da noi in Seminario che quando li vediamo sull’altare. I loro racconti sono arricchenti, tanti sono i punti di vista sul come poter incarnare il Ministero Sacerdotale, tutti molto utili per me”.

Scegliere un percorso vocazionale: “Ai nostri coetanei diremmo non accontentarsi di una felicità apparente”

“Credo sia un provare a buttare il cuore oltre l’ostacolo, a seguire un desiderio o un’intuizione che si sente ma che se si aspetta che i conti tornino non torneranno mai. Ne vale la pena, bisogna ascoltare il cuore”. Così Alessandro, rispondendo alla domanda relativa al cosa dire ad un coetaneo che ha dubbi sulla vita che sta conducendo. “Direi loro di non accontentarsi di una felicità apparente – aggiunge Giacomo -. Ma senza fretta: la chiamata del Signore non è un cellulare che squilla, ma è riconoscere nel concreto e nel quotidiano quei segni che ti indicano la strada, senza arrendersi”. “Quando uno pensa alla vocazione si riferisce a qualcosa che non è per tutti – dice Luca -, e non tocca il quotidiano. Ma non è così, è l’opposto: la vocazione riguarda tutti i battezzati ogni giorno, la chiamata parte dagli ambienti in cui viviamo”. Elia chiude così: “Se crediamo che tutto quello che facciamo ogni giorno è vano, così sarà. Se invece affidiamo anche le piccole cose all’Assoluto, allora la prospettiva assume senso. E quando poi l’Assoluto viene tra noi allora è il massimo. Abbiamo poi bisogno di imparare ad affidarci, sappiamo di camminare nel vuoto ma dobbiamo lasciarci andare a Lui”.

Infine, il Rettore: “Ho iniziato questo servizio il primo di giugno, con tanta trepidazione e senso di inadeguatezza. Con tanti problemi da affrontare molto più grandi di me. Ma loro, questi quattro ragazzi, mi ricordano l’essenziale, il motivo per cui sono qui e quando la stanchezza rischia di avere il sopravvento, riguardare la mia vita da prete attraverso i loro occhi entusiasti mi aiuta a ritornare a quel primo amore che mi porta oggi a vivere la mia vita donandola giorno dopo giorno”.

Simona Rapparelli