L’omelia del vescovo Sanguineti nel solenne pontificale del 1 gennaio

Carissimi fratelli e sorelle,
Il primo giorno del nuovo anno è anche il culmine dell’Ottava natalizia, e in questo giorno la Chiesa celebra la festa di Maria, madre di Dio: è il più antico titolo con cui la Vergine è stata venerata e invocata dai fedeli. “Madre di Dio”: Theotokos, colei che ha generato Dio! C’è qualcosa di paradossale in questa espressione della nostra fede: come può una creatura, una donna, essere “madre di Dio?” Non siamo forse di fronte a un mito o a un simbolo?
Ebbene no, carissimi fratelli e sorelle! Venerando Maria come madre di Dio, noi riconosciamo la realtà profonda che si è compiuta in lei e che San Paolo ci ha ricordato nella seconda lettura: «Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge» (Gal 4,4). Il tempo ha raggiunto la sua pienezza, nel momento in cui l’eterno Figlio del Padre, la sua Parola eternamente generata da Dio e in Dio, si è fatto uomo, nel grembo verginale di una donna, la giovane Maria di Nazaret. In lei il Figlio del Dio vivente ha assunto la nostra carne, la nostra concreta umanità, è diventato uno di noi, tanto che il figlio, concepito nella potenza feconda dello Spirito e generato nella notte di Betlemme, è, allo stesso tempo, figlio del Padre e figlio di Maria, vero Dio e vero uomo! Siamo di fronte alla suprema prossimità di Dio con noi, perché non gli è bastato donarci la sua parola, attraverso i profeti e le Scritture, non gli è bastato operare segni di salvezza nella storia d’Israele, popolo dell’Alleanza, testimone nel mondo del Dio vivo e vero. Ha voluto farsi vicino oltre ogni attesa e immaginazione, come una presenza umana nella nostra storia, nella nostra carne. Come ricordava ieri sera Papa Francesco nella sua omelia ai primi vespri dell’odierna solennità: «In Cristo Dio non si è mascherato da uomo, si è fatto uomo e ha condiviso in tutto la nostra condizione. Lungi dall’essere chiuso in uno stato di idea o di essenza astratta, ha voluto essere vicino a tutti quelli che si sentono perduti, mortificati, feriti, scoraggiati, sconsolati e intimiditi. Vicino a tutti quelli che nella loro carne portano il peso della lontananza e della solitudine, affinché il peccato, la vergogna, le ferite, lo sconforto, l’esclusione non abbiano l’ultima parola nella vita dei suoi figli».
Il cuore della festa di oggi, allora, è Cristo stesso, nella sua identità divina e umana, e accanto a lui noi contempliamo la madre; anzi, in certo modo, vogliamo guardare al mistero che in lei si è compiuto, con i suoi occhi e con il suo cuore, immedesimandoci, nella preghiera con lei: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19).
Ecco perché possiamo davvero, celebrare Maria come madre di Dio, perché è da lei che Cristo ha preso carne, è in lei che l’Eterno ha iniziato a esistere nel tempo, nel nostro tempo: Maria, nostra sorella in umanità, è madre del Dio fatto uomo. La festa di oggi, è innanzitutto rivolta a celebrare questo mistero, che dovrebbe essere sempre sorgente di meraviglia, di gioia e di gratitudine. Così si esprime la liturgia della Chiesa nella sua preghiera: «Beata, o vergine Maria: hai portato il Creatore del mondo. Hai dato la vita a colui che ti ha creata e sei vergine per sempre».
Non separiamo mai il Figlio dalla madre! Non separiamo mai Cristo da Maria e Maria da Cristo! Come dimostra la storia della Chiesa, tutte le volte che si è affievolita la venerazione a Maria, la devozione autentica a Lei, discepola e madre di Gesù, si è anche offuscata la fede piena in Cristo, uomo e Dio, Signore e salvatore unico del mondo e della storia. Talvolta è la fede dei semplici, il loro senso soprannaturale, dono dello Spirito, il loro “fiuto” – come lo chiama Papa Francesco – per le cose di Dio, che ha preservato nella Chiesa l’autentica dottrina su Cristo: una Chiesa senza Maria è una chiesa orfana della madre! D’altra parte, una devozione a Maria che perdesse di vista la centralità di Cristo, e che non facesse crescere in noi una vera familiarità con Lui, nella vita sacramentale e nell’ascolto della Parola di Dio, sarebbe una devozione falsa, che facilmente decade in forme esagerate e senza fondamento, o va sempre alla ricerca di manifestazioni straordinarie. Fratelli e sorelle, la venuta del Figlio, mandato dal Padre, la sua presenza che Maria ci offre, sono portatrici di un dono che è per noi e che ancora San Paolo ci ricorda: Dio ha inviato suo Figlio, nato da donna, «perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”. 7Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio» (Gal 4,5-7).
Nel Figlio, carissimi, diventiamo anche noi figli, per adozione, riceviamo lo Spirito del Figlio, che in noi può gridare: «Abbà, Padre!». Possiamo fare nostra questa parola immensa con cui Gesù chiamava Dio, «Abbà», che nella lingua aramaica, la lingua di Gesù e dei primi cristiani, esprime l’intimità di in figlio con suo padre. Siamo figli, non più schiavi: schiavi del peccato, della morte, schiavi di una legge che è buona, ma è impotente, non ci dà la forza di compiere il bene!
Dal dono di Cristo e del suo Spirito, nasce una nuova famiglia, una nuova fraternità, un nuovo modo d’essere uomini, di guardarci e di trattarci: non più come estranei, o peggio nemici, ma come fratelli e sorelle, figli di uno stesso Padre, membri di una stessa famiglia. Comprendiamo allora perché, proprio in questo giorno, la Chiesa celebra l’annuale Giornata della Pace, istituita cinquant’anni fa, dal Beato Paolo VI e celebrata la prima volta nel 1968. Non solo perché, all’inizio di un nuovo anno, il bene più grande che, come famiglia umana, ci auguriamo e chiediamo è il bene della pace – bene minacciato e ferito, anche in questi anni, in tante parti del mondo e in tante forme, dalle guerre al terrorismo che miete sempre nuove vittime, fino alle strage di stanotte a Instanbul – ma soprattutto perché il mistero del Natale è mistero di pace. Se nel Figlio ci riconosciamo figli e fratelli, possiamo e dobbiamo tutti concorrere a costruire un mondo in pace, facendo nostro l’invito forte che il Papa rivolge a tutti i cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà, nel suo messaggio per l’odierna Giornata sul tema “La nonviolenza: stile di una politica per la pace”. Proprio la nonviolenza è al cuore del vangelo di Gesù, che ci chiede perfino di amare i nostri nemici (cfr. Lc 6,27), e come ricorda il Santo Padre, il vangelo della nonviolenza «non consiste “nell’arrendersi al male […] ma nel rispondere al male con il bene (cfr Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia”». Da qui scaturisce l’appello del Papa che chiede il coinvolgimento di tutti e di ciascuno: «Dal livello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale, possa la nonviolenza diventare lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme» Affidiamo, con Papa Francesco, la causa della pace al cuore materno di Maria: «Maria è la Regina della Pace. Alla nascita di suo Figlio, gli angeli glorificavano Dio e auguravano pace in terra agli uomini e donne di buona volontà (cfr Lc 2,14). Chiediamo alla Vergine di farci da guida».
Madre di Dio e madre degli uomini, donaci la gioia di essere figli nel tuo Figlio, e come fratelli di una stessa famiglia, rendici operatori di pace! Amen

Mons. Corrado Sanguineti
+ Vescovo di Pavia