Ordinazione episcopale di mons. Andrea Migliavacca: l’omelia di mons. Giovanni Giudici

La Cattedrale di Pavia ha ospitato questa sera, mercoledì 9 dicembre, l’ordinazione episcopale di mons. Andrea Migliavacca, futuro vescovo di San Miniato. Erano presenti 2 cardinali e 17 vescovi. Il Duomo di Pavia era gremito di fedeli. Ecco l’omelia di mons. Giovanni Giudici: 

Saluto il nostro carissimo don Andrea.

Ricordo i suoi familiari, in particolare don Adriano. Lo circondano in particolare questa sera, in una atmosfera particolarmente festosa, coloro che ha conosciuto e accompagnato negli anni del suo servizio nella nostra Diocesi: gli amici, i seminaristi, i preti che ha accompagnato all’ordinazione, i giovani dell’Azione Cattolica e della pastorale giovanile, quanti operano in Seminario, i laici in ricerca da lui seguiti con amore e competenza, gli scout, di cui ha condiviso con passione lo stile educativo e per i quali si è prodigato con entusiasmo. Festa tanto più gioiosa e solenne la nostra, perché questa sera facciamo memoria del Santo fondatore della nostra Chiesa. Siamo riconoscenti a San Siro perchè è giunto da noi come missionario recandoci l’inestimabile dono della fede; viene da lontano e gli è dato un ministero per cui edifica la comunità cristiana nella nostra città. Siamo a lui devoti perché vi è in lui l’opera di Dio. Proprio per l’opera di San Siro qui nasce una chiesa che è durata nel tempo;  per la salvezza, per la vita buona di ogni creatura. La liturgia oggi ci invita a riflettere sulla figura di Abramo, aiutandoci così a comprendere  anche la venuta di S. Siro tra noi e la preziosa opera della sua evangelizzazione.  In lui riconosciamo lo svolgersi della dinamica caratteristica di ogni rapporto tra l’uomo e Dio: un dialogo che inizia da Dio, un distacco dalla vita di prima, un dialogo che, nella concretezza delle scelte e dei messaggi, approfondisce la conoscenza che l’uomo ha di sè, e l’esperienza che  egli ha di Dio.La vicenda di Abramo è esemplare perché procede attraverso tre momenti che lo rendono nostro modello nella fede. Tutto incomincia con la prima chiamata. E’ Dio che lo invita con forza:

Il Signore disse ad Abram:
“Vattene dalla tua terra,
dalla tua parentela
e dalla casa di tuo padre,
verso la terra che io ti indicherò.

e in te si diranno benedette
tutte le famiglie della terra”.
Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore,.. 

Vi è una seconda chiamata nella vicenda di Abramo. Essa coincide con la Parola del Signore con la quale gli viene promesso un figlio e, dunque, un futuro buono. E’ inattesa per le sue modalità e dunque pienamente dono è questo figlio. Ancora egli accetta e prosegue la sua avventura con Dio. Vi è poi una ulteriore, suprema vocazione: prendi il tuo figlio unigenito che ami, Isacco.. offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò. Che cosa ha voluto dire per Abramo questa progressiva risposta a Dio? Egli poco alla volta, obbedienza dopo obbedienza ha meglio compreso chi è Dio per lui; imparò a fidarsi pienamente di Lui; gli consegnò totalmente il suo futuro, la sua speranza, la sua vita. Il vescovo Andrea, nel suo motto episcopale, ha messo in evidenza il tema della chiamata di Dio, ha ripreso infatti la frase che il Vangelo di Giovanni pone sulle labbra di Andrea, che nella tradizione è appunto designato come ‘il primo chiamato’. Come la chiamata di Abramo  e poi quella di Eliseo e di altri inviati di Dio, anche nel Vescovo Andrea è risuonata la voce di Dio  ed egli ha dato risposta con la domanda decisiva: Maestro, dove abiti? Possiamo far riferimento al giovane binaschino che frequenta le medie superiori  e che avverte il fascino di Dio e del suo mondo. Certo molti hanno questa intuizione. Ma egli fa la scelta di entrare in seminario. Quante prospettive interessanti si aprivano: il lavoro, gli affetti di una famiglia, una strada da percorrere con una intelligenza viva e una notevole sensibilità. Entrare in seminario ha significato abbandonare tutto  questo e, di fronte a tutti, consegnarsi pienamente e decisamente al Signore, prendendo anche  una posizione pubblica nei suoi confronti. Una seconda chiamata lo  ha portato ad essere servitore del Vangelo. Come ci assicura la Parola proclamata questa sera, ha accolto l’invito del Signore ad essere prete per proclamare la Parola di Dio ad ogni creatura e così introdurre nel mondo la forza della verità, insegnare il coraggio della carità, annunciare e celebrare la misericordia. La seconda chiamata ricevuta lo ha fatto passare da battezzato nella sua maturità umana,  a uomo che riceve il ministero presbiterale e si trova nella condizione di affidare ancora più decisamente la sua vita al Signore. Ecco oggi una terza chiamata, caro don Andrea. La chiamata all’episcopato significa l’incardinazione definitiva in quella comunità, strutturalmente configurata come diocesi, che il Signore ha voluto per il servizio del suo popolo. E oggi tu diventi il rappresentante della comunità e suo servitore. È grande il mistero di Dio che si compie con la tua consacrazione episcopale, perché alla comunità cristiana di cui sarai pastore, è affidato il compito di testimoniare il Signore sacrificato e vivente. Con la tua Chiesa, e non solo con la tua vita, ti è affidata la missione di testimoniare al mondo la salvezza di Dio. Le chiamate del Signore ci aprono strade inattese, perché  sempre aperte a nuovi incontri, a inaspettati orizzonti. Nel tuo motto episcopale risuona l’invito alla missione. Dove abiti, Maestro? Il Signore ci ha assicurato che la sua casa è dovunque. All’uomo che chiedeva di poterlo seguire: “Maestro, ti seguirò dovunque tu vada”.  Gesù risponde: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. La preghiera che la tua Chiesa fa questa sera, con i tuoi amici e i vescovi ospiti,  chiede che tu sappia trovare  dovunque il Signore, qualunque sia l’ambiente che frequenterai, le persone che incontrerai. Nell’anno del Giubileo della Misericordia possa tu ricordare che il Figlio dell’Uomo è il più povero dei suoi discepoli ed essi, come ricorda San Pietro, sono “stranieri e pellegrini” (1 Pt 2,11). Al Maestro chiedi di abitare nella sua casa: ti sia dato di ricordare che il posto di Gesù forestiero e senza casa è occupato da quella gente che oggi abita negli atri delle stazioni, nei campi di accoglienza, lungo le frontiere rese invalicabili agli stranieri. Sul suggerimento del tuo motto episcopale, chiediamo che l’andare di te con Cristo, l’abitare con lui ti consenta di avvertire quanto è grande il desiderio di salvezza che in svariati  modi pervade la storia degli uomini e ogni animo umano. L’abitare con il Maestro ti consenta di esserne testimone appassionato e instancabile. Nella misura di sant’Andrea, con l’esempio di San Siro.

 Mons. Giovanni Giudici