“La festa di San Siro resa solenne dalla chiusura dell’Anno della Fede”

Sono lieto di festeggiare con voi questa festa di San Siro, resa solenne dalla conclusione diocesana dell’Anno della Fede. Esso è stato un appello a riconsiderare quanto incide nella vita di ogni battezzato l’annuncio con cui Gesù ha iniziato la sua vita pubblica: “Convertitevi e credete al Vangelo”.
Celebrare la conclusione dell’Anno della Fede ci aiuta a richiamare il cammino della nostra comunità diocesana, iniziato con la Missione Popolare, voluta per preparare la riapertura della Cattedrale. La Missione ha consentito di offrire a molti la possibilità di incontrare la Scrittura. Ed è consolante constatare che ancora in molte parrocchie si è mantenuto il prezioso strumento pastorale dei gruppi di ascolto del Vangelo.
Il coinvolgimento delle parrocchie per sostenere un rinnovato incontro con la proposta di Gesù è poi continuata con la Missione dei giovani. Il loro è stato un cammino di un anno, ritmato dalla preparazione nei ‘cenacoli’, nei quali ascoltare che cosa il Signore dice al cuore di ciascuno.
Poi vi è stata la bella avventura dell’incontro con i Frati e le Suore che hanno sostenuto la Missione Giovani, portando l’entusiasmo della loro vocazione nelle messe domenicali delle parrocchie e per le strade della città di Pavia.Al di là del quadro diocesano che fa da contesto al nostro incontro di questa sera, in cui facciamo memoria del primo nostro Vescovo, San Siro, vorrei ricordare che cosa ha recato, alla nostra comunità ecclesiale cattolica, l’Anno della Fede.
La decisione di Papa Ratzinger è invito straordinariamente forte e convincente a vivere la fede come generosa dedizione alla volontà di Dio, quando essa si manifesta alla propria coscienza; la scelta di eleggere Papa Bergoglio è da tutti avvertita come un segno dello Spirito, perché la Chiesa assuma il vigore e il desiderio di essenzialità, caratteristico delle Chiese giovani.
Ma occorre questa sera evocare, per vivere nella verità la solenne circostanza della conclusione dell’anno della fede, il quadro drammatico, civile e politico, nel quale siamo immersi. Anche per questo aspetto della vita personale e sociale, la fede è un messaggio significativo?
Le guerre che fiammeggiano in varie parti del mondo, le turbolenze che segnano le nazioni a noi vicine del Nord Africa, in particolare le tensioni che ancora dilaniano la terra di Gesù sono un appello alla nostra fede. Queste condizioni di incertezza e di distruzione, infatti, toccano anche le nostre terre con il fenomeno doloroso e talvolta tragico della ricerca di pace, di cibo e di lavoro, da parte di migliaia di uomini e donne. Essi sono il segno di grandi ingiustizie presenti nel mondo e ci invitano a chiedere che cosa può fare un credente, quando si trova ad essere presente a questi drammi.
Anzitutto, la fede in Cristo ci chiede di non estraniarci dai drammi del mondo. Se lo facciamo, diamo implicitamente il messaggio che la fede non può nulla di fronte al male sociale. I conflitti, le sofferenze, i contrasti sono segno di grandi ingiustizie presenti nella storia; la fede ci invita a cambiare il cuore e la vita, a criticare la scala di valori a cui fa riferimento la società e ad impegnarci fattivamente, ciascuno per la sua parte, a superare tali ingiustizie.
Nella storia della nostra Chiesa pavese, appare con chiarezza che l’annuncio del Vangelo, portato dal Vescovo Siro, è stato accolto da chi ha ricevuto la grazia di credere. E chi ha assunto la parola delle Beatitudini, ha partecipato alla costruzione di un mondo più umano ed è stato in grado di costruire una comunità cristiana che giunge fino a noi.Quindi, la nostra festa di questa sera, rallegrata dalla presenza di due cari e amabili ospiti, Mons. Martino Canessa e Mons. Maurizio Gervasoni, vuole essere un ringraziamento al Signore per il dono dell’essere Chiesa, e domanda: Signore, come la fede ci mantiene vivi in questi tempi di scarso entusiasmo? Dove sta la forza che ha consentito a Siro e ai suoi successori, e alle comunità cristiane che si sono succedute nel tempo, di costruire comunità vive?La seconda lettura che abbiamo ascoltato, tratta dal discorso di Paolo ai presbiteri di Mileto, ci consente di comprendere il principio di vita di una comunità. L’Apostolo infatti dice ai responsabili delle comunità di quella zona dell’Asia Minore, da lui evangelizzata, che cosa sosterrà la vita delle comunità, in un futuro pur incerto e in parte oscuro.
Egli dice: …vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che ha la potenza di edificare e di concedere l’eredità tra tutti quelli che da Lui sono santificati…… vi affido.. La vita della comunità cristiana è considerata da Paolo un prezioso deposito; esso è tuttavia posto in una condizione sicura, nella quale sarà preservato da ogni possibile minaccia. E la garanzia del prolungarsi nel tempo della vita nuova annunciata dall’apostolo e realizzata dall’opera dello Spirito è la Parola che annuncia la misericordia per ogni creatura umana.
Come si realizza il dono della vita nuova, redenta? Attraverso l’esperienza dell’edificarsi di una comunità, paragonata da Paolo ad un edificio. Ed è possibile riconoscere in questa immagine il legame di rapporti personali che nascono dalla Parola ascoltata, condivisa, messa in pratica in comportamenti sia personali e che comunitari. Vorrei, in particolare, verificare quanto sia vera oggi la promessa di Paolo, nel cammino delle nostre comunità.
Spesso si ha la persuasione che la Parrocchia sia un problema del Parroco. Questo, tuttavia, sappiamo che non è vero; essa è il luogo concreto in cui siamo chiamati a vivere la nostra fede costruendo rapporti di collaborazione e di servizio al Vangelo. Credere vuol dire fidarsi di Gesù; e il conoscerlo e la scoperta personale di Lui si traduce in dialogo, in carità, in bruciante desiderio di annunciare agli altri questa buona notizia che dà senso e direzione alla nostra vita. Le nostre comunità cristiane si edificano come comunità di fede in cui si confessa che Gesù è il Signore, e in cui la fede è realtà che si professa e si annuncia.
E a questo sono chiamati tutti i cristiani. La prima cosa che ci viene chiesta, e in particolare a coloro che hanno preso l’impegno di essere operatori pastorali, è la propria conversione. Non siamo chiamati primariamente a organizzare iniziative, ma a convertirci alla novità del Vangelo.Questo richiede che nelle nostre comunità sia messa al centro la Parola, presenza del Signore in mezzo a noi: preparazione delle letture della Messa, lectio divina, liturgia che esprima concretamente la capacità della Parola di convertire la vita, catechesi, spazi in cui maturare un consenso nella fede, in cui, a partire dalla fede della Chiesa, dibattere insieme e aiutarsi reciprocamente a comprendere che cosa voglia dire credere oggi. Queste scelte sono molto importanti perché, ad esempio, in astratto siamo tutti d’accordo nel dire che siamo chiamati a vivere la carità, ma quando si cerca di comprendere quali siano le forme concrete in cui oggi di fatto possiamo viverla, diventa tutto molto più complesso. Incominciano i distinguo o addirittura i conflitti o le emarginazioni di chi la pensa diverso da noi. Occorre, invece, continuare nel dialogo e nella pazienza, quella stessa che Dio ha nei nostri confronti, rispettare i tempi di crescita di ciascuno e, insieme, riproporre in modo esigente la verità.Se non si è attenti a ciò, siamo tutti credenti, ma diventa difficile fare l’Eucarestia, offrire noi stessi al Signore e vivere in comunione come persone che sono commensali alla stessa mensa, che per di più è la mensa a cui ci invita Gesù.
Le nostre comunità sono un segno significativo per il territorio in cui vivono, quando sanno manifestare la grande ricchezza umana del Signore. Gesù è il Signore e il senso di ogni storia umana; è il “sì” dell’amore di Dio detto ad ogni vita umana e in ogni comunità cristiana. Per questo Egli ne è il centro. Questo sì dell’amore di Dio al più piccolo e apparentemente insignificante pezzo di storia umana, deve esprimersi per mezzo di noi credenti. La parrocchia è chiamata ad essere fedele all’uomo; essa è, cioè, ambito in cui si propongono iniziative mediante le quali ogni valore, ogni germe buono o doloroso di vita umana trova un accoglimento, un’accettazione nella speranza. La fede ci fa avvertire che ogni vita umana è vocazione e la comunità cristiana è chiamata a sviluppare i carismi in ordine alla costruzione dell’uomo: attenzione al territorio, ai più bisognosi, agli emarginati …
La parrocchia, dunque, non è un insieme di attività che lasciano la comunità estranea al progetto; essa è un progetto di vita, di fede, che cambia le persone e tutti coloro che in parrocchia vivono. Diventa, allora importante il modo di fare liturgia, catechesi, di stare insieme, di costruire i luoghi dell’incontro; la centralità della Parola e del Signore consente di gestire le iniziative in modo tale da esprimere, da rendere palpabile che la parrocchia è segno dell’amore di Dio per l’uomo. I rapporti vicendevoli, allora, sono segnati dalla fraternità che Cristo ci ha donato; il servizio all’uomo è disinteressato e capace di spingersi fino al dono totale di sé.Si impara infatti poco alla volta, nella Messa, nella preghiera, nell’incontro collaborativo che, mentre sinceramente si adoperano perché la giustizia sia fatta per ogni uomo, ci ritroviamo capaci di puntare il dito più in alto, mostrando la gratuità del Signore Gesù, attraverso gesti profetici, che richiamino a tutti il trascendente. La comunità cristiana è chiamata a indicare sempre questo oltre. Se non hai la casa, ci adopereremo perché tu la possa ottenere, ma sappi, comunque, che fin da ora casa mia è anche casa tua.Forse ci rendiamo conto che, perché tutto ciò sia vero, c’è molta strada da fare; ciò che importa è che abbiamo la voglia di camminare, sapendo che, comunque, a convertirci è ..Dio e la parola della sua grazia, che ha la potenza di edificare e di concedere l’eredità tra tutti i santificati…
E ciascuno di noi sappia operare nella speranza e nella gratuità, e si realizzerà così la promessa fatta dall’Apostolo ai presbiteri di Mileto, e risuonata tra noi nella liturgia, quasi fosse un incoraggiamento che ci viene direttamente dal Vescovo Siro.
Vorrei ora rivolgere un particolare invito ai giovani, a voi che state progettando il vostro futuro e che, mentre avete nel cuore grandi sogni, fate fatica a vedere nella comunità ecclesiale gli slanci e la radicalità che voi desiderate. A voi vorrei rivolgere, nonostante tutto, l’invito a bussare ancora alla porta della Comunità Cristiana a cui felicemente appartenete.
Abbiate fiducia che la Comunità Cristiana adulta sarà ben lieta di scorgere in voi un valore che, ben coltivato, porta a maturazione la persona. Si tratta della capacità di essere responsabili a proposito di quello che appartiene anche a voi: la parrocchia, l’oratorio, la vita pastorale.Strettamente legata a quanto vi ho prospettato c’è un altro chiodo d’oro che vorrei piantaste voi stessi negli spazi aperti dei vostri progetti. Si tratta di ricordare che, da soli, noi uomini e donne siamo come festuche in balia di ogni vento. Con Dio invece, anche le imprese più impegnative ci diventano possibili. Mettere Gesù al centro della propria vita; questo è il segreto di ogni vera riuscita per noi Cristiani. Scrivo a voi giovani, perché siete forti e la Parola di Dio rimane in voi e avete vinto il maligno (1Gv 2,14b). Così scrive nella sua lettera San Giovanni Evangelista. Anch’io scrivo a voi in questa festa di San Siro un invito a vivere la comunità cristiana, con la fiduciosa certezza che il futuro dei credenti della nostra terra ha bisogno di noi e che per voi la fede è e sarà una inestimabile risorsa.

Mons. Giovanni Giudici
(Vescovo di Pavia)