Le reliquie di San Siro sono tornate nella Cattedrale di Pavia

Le reliquie di San Siro sono tornate nella Cattedrale di Pavia, con la solenne cerimonia della “traslatio” presieduta dal vescovo Giovanni Giudici. Grande la partecipazione dei cittadini pavesi, che hanno affollato il Duomo insieme alle autorità. Alle 18 è iniziata la lettura ininterrotta della Bibbia, giorno e notte, che proseguirà sino a venerdì 19 ottobre a mezzogiorno: un grande evento che viene trasmesso in diretta da Radio Ticino Pavia (Fm 91.8 – 100.5) con brevi intervalli per i notiziari e le rubriche di informazione. Domenica 21, ottobre, alle 15.30, il solenne pontificale presieduto dal vescovo che segnerà il ritorno ufficiale in Cattedrale. Ecco, di seguito, l’intervento integrale di mons. Giudici tenuto in occasione della “traslatio”.

 

La solenne liturgia del Vespero costituisce il primo atto dell’ingresso nella Cattedrale rinnovata. Accompagniamo nella preghiera il trasporto  in Duomo delle reliquie di San Siro, primo vescovo della nostra Chiesa; allo stesso tempo iniziamo quel complesso di gesti che costituiscono il nostro modo di celebrare con gioia i cinquanta anni dall’inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II e l’inizio solenne dell’anno della fede, proposta di riflessione e di preghiera, di celebrazione e di approfondimento, a cui tutta la Chiesa è chiamata da Benedetto XVI.

Il gesto che abbiamo appena compiuto, introdurre in cattedrale il corpo del nostro primo vescovo, vuol dare rilevanza alla memoria di colui che ha costituito la comunità cristiana in questa Città e in questa terra. Nella nostra tradizione egli è chiamato “Salutis ostensor”, cioè colui che ha mostrato la salvezza, l’annunciatore del futuro autentico  dei viventi. Così ci aiuta a pensare e a credere la pagina di Genesi che abbiamo letto all’esterno della Cattedrale: in essa Giuseppe chiede che le sue ossa siano riportate nella terra delle sue origini; egli esprime la sua volontà, che rimane in eredità ai suoi, che la sua reliquia rimanga con il suo popolo e, quando gli ebrei dovessero lasciare l’Egitto, egli possa emigrare assieme al suo popolo.

Così egli dichiara la sua fede nella fedeltà di Dio alla promessa, fatta ad Abramo: “Alza gli occhi e, dal luogo dove tu stai, spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l’oriente e l’occidente. Tutta la terra che tu vedi, io la darò a te e alla tua discendenza per sempre. Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti. Àlzati, percorri la terra in lungo e in largo, perché io la darò a te”. (Genesi 13,14-17)

Per noi, che crediamo nella risurrezione di Cristo, origine e causa della nostra risurrezione, condurre con noi la reliquia di San Siro è il gesto di riconoscenza verso la sua figura di missionario e pastore: egli ha dato la sua vita perché un popolo di credenti continuasse la sua avventura. Attuando il rito della traslazione di San Siro, noi anzitutto diciamo che egli vive nella nostra comunità, nella fede che con lui condividiamo, nell’amore che ci ha trasmesso. Rinnoviamo inoltre la fiducia in Cristo e nella promessa che il Signore ha formulato a riguardo di chi crede in lui: “lo risusciterò nell’ultimo giorno”, io darò una vita che non finisce. Siamo destinati con lui alla risurrezione.

La richiesta del patriarca Giuseppe, così come si esprime nel brano che abbiamo ascoltato, ha una seconda ragione: egli vuole che il suo sepolcro sia sotto gli occhi dei suoi discendenti, così che i figli e i nipoti possano ricordare la sua fede e la fedeltà di Dio alle promesse formulate a coloro che hanno creduto in Lui: “vi farò miei figli nella fedeltà e nell’amore, questa sarà la mia alleanza con voi”.

Il ricordo del primo vescovo della nostra Chiesa e la devozione a Siro diventano dunque per noi i gesti con cui esprimiamo la fiducia che il nostro futuro sta nelle nostre radici. Ciò che Dio ha compiuto in lui e attraverso di lui a favore nostro, può ripetersi nella nostra vita e nell’esperienza delle persone che verranno dopo di noi.

Così, con la cerimonia di questa traslazione e ravvivando la nostra devozione nei confronti di San Siro, nostro primo vescovo, noi celebriamo l’inizio dell’anno della fede. Siamo parte della Chiesa, siamo nella comunione della nostra Chiesa locale, con la sua storia di santi e di peccatori, di slanci di carità e di impegni diuturni e quotidiani di fedeltà a Dio e ai fratelli.

Nella forza della comunione tra noi e con Dio, ci è stato possibile riunirci e stare insieme nella fede e nell’amore con la preghiera dei salmi e tra di ni è risuonata una seconda pagina biblica, tratta dalla lettera agli Ebrei. Ci è stata così offerta una Parola da contemplare ed è apparsa agli occhi della fede, quali sono le dimensioni di vita che ci uniscono a Siro e ci rendono partecipi della sua testimonianza.

Un contrasto forte e significativo viene suggerito dalla lettura:  Voi infatti non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, ..

Ci viene detto che non stiamo insieme nella comunità cristiana per un dovere di lealtà alle strutture organizzative; non ci radunano forze esterne a noi, come possono essere i timori che ci tengono insieme, o la volontà di contare. Piuttosto ci raduna in una unità di amore tra noi e di servizio ai fratelli la nuova alleanza che ha i caratteri di pienezza, di forza che invita alla comunione, di armonia che invita alla costruzione di ciò che ha i segni del bene per i fratelli.

Che cosa infatti ci unisce in comunione? Il Cristo, che il brano della lettera agli Ebrei descrive mediante un particolare concreto, per sé tragico, e cioè il sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele. Si tratta di un corpo umano da cui fluisce il sangue; è la concreta persona che soffre e muore, eppure formula un messaggio inequivocabile e definitivo. Con la sua nascita tra gli uomini, dal ventre di una donna, Gesù è presenza liberatrice nella nostra storia e si dimostra salvatore nostro perché con la sua passione e morte ci insegna una via buona per la nostra esistenza limitata e peccatrice: si vive solo se si muore per gli altri. E con la Parola e i sacramenti Gesù ci dona la forza per percorrere la via della vita con Lui, verso la nostra salvezza personale.

E noi di fatto – ci ammonisce il brano della Scrittura che abbiamo ascoltato –  ci accosteremo alla salvezza, mediante la forza e la bellezza della liturgia, mediante la luce della Parola che risuona in mezzo a noi; in particolare la liturgia della nostra Pasqua, descritta nelle espressioni della lettera agli Ebrei, ci rende partecipi dell’offerta di Cristo e rinnovati nelle nostre forze spirituali dal sacrificio vissuto da Cristo per amore, fino al dono della vita.

La più antica immagine che possediamo di San Siro, lo ritrae con gli abiti del pontefice e con in mano la Parola di Dio. Anche su questo aspetto della figura del nostro Santo, la lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato ha due precisazioni da proporre.

Anzitutto siamo chiamati a responsabilità: guardatevi bene dal rifiutare Colui che parla! La Parola di Dio infatti svela a noi stessi il nostro pensiero, getta luce nel nostro cuore spesso inquieto e sempre difficile da scrutare. E’ la Parola che ci rivela l’amore di Cristo che si esprime nell’effusione del suo sangue per noi. Per questa ragione risuonerà nella nostra Cattedrale la Parola di Dio per sei giorni, proclamata senza interruzione da circa 1100 persone. Dalla Parola è radunata la Chiesa, solo con la luce di questa Parola possiamo percorrere da credenti le vie del mondo.

Ma la Parola illumina e indica tutto ciò che ha a che fare con la nostra vita di creature; si tratta delle esperienze personali, dei pensieri e dei sentimenti, delle realtà sociali, della cultura, della scienza, dell’arte che vengono poste sotto il raggio puro e illuminante della fede, per riconoscere ciò che è conforme al Vangelo e ciò che ne è difforme.  Ogni realtà creata, ogni vicenda umana è come il segno e la profezia; esse ci parlano del mistero di Dio, ci indicano un “oltre”, perché chiedono, per la realizzazione della vita delle persone, di stare entro un quadro di autenticità, di giustizia e amore.

Chi è il soggetto? Forza e debolezza di ogni creatura, che richiama il dono di Dio ma è anche  “destinata a passare”.

Abbiamo ascoltato come tutto questo si compie. La sua voce –che è la voce di Dio, la Parola di Dio- un giorno scosse la terra; adesso invece ha fatto questa promessa: Ancora una volta io scuoterò non solo la terra, ma anche il cielo. Quando dice ancora una volta, vuole indicare che le cose scosse, in quanto create, sono destinate a passare, mentre rimarranno intatte quelle che non subiscono scosse. Evidentemente si parla del giudizio che Dio dà al mondo attraverso la vita, la parola e il sacrificio del Figlio. Ciò che è conforme alla proposta di vita che il Signore ci ha offerto, rimane. Tutto il resto è destinato a perire. Perciò – conclude-  noi, che possediamo un regno incrollabile, conserviamo questa grazia, mediante la quale rendiamo culto in maniera gradita a Dio con riverenza e timore… cioè siamo in grado di offrire la nostra vita a Dio, ritornando a Lui ciò che abbiamo ricevuto.

Mentre accompagniamo San Siro in cattedrale, ricordiamo che egli è stato in questa terra ed ha iniziato qui la comunità cristiana che ora vive in noi e con noi e ha vissuto la straordinaria avventura di immettere nella mentalità e poi nei costumi che ha trovato qui nella ‘Ticinum’ romana, la novità  del Vangelo.  Ha certamente sofferto del contrasto tra la libertà annunciata dal Vangelo e una pratica di vita che vigeva allora e che a noi oggi sembra inaccettabile, quella della schiavitù che rappresenta un immorale diritto sulla vita di altri uomini e donne; ricordiamo anche la diffusione della violenza come strumento unico di regolazione dei conflitti sociali; il disprezzo totale per la vita dei piccoli e dei poveri. Quanta distanza dalla proposta evangelica che Siro predicava e ciò che la sua comunità delle origini intendeva vivere.

Siro, che secondo la tradizione giungeva dal vicino Oriente, avrà trovato nella nostra terra anche aspetti del vivere sociale che lo sorprendevano per la loro sintonia con la dottrina evangelica che egli recava. Pensiamo alla solidità e all’equità dell’apparato giuridico su cui si basava la civiltà romana, ricordiamo la laboriosità e l’intraprendenza di quelle genti, la loro cura per la memoria degli antenati, la sete di una religiosità più autentica.

Il futuro nelle nostre radici: così vogliamo celebrare il Concilio Vaticano II. In esso i Padri Conciliari ci hanno  raccomandato di porre di nuovo, in primo piano nella nostra vita di Chiesa ciò che stava all’origine della comunità cristiana, e ciò che l’ha sostenuta e plasmata nei primi secoli di vita : la Parola che nutriva la preghiera, il cuore e l’intelligenza dei cristiani, la liturgia celebrata nella lingua allora parlata da tutti, con gesti facilmente comprensibili.

 Per quali ragioni è stato voluto il Concilio ecumenico dal Beato Giovanni XXIII? Perché fosse chiaro ai cristiani che la Chiesa esiste per essere “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano..”  (LG cap1).

Accompagnando oggi San Siro in Cattedrale noi rinnoviamo l’impegno a vivere con gioia la nostra fede  nella comunità da lui fondata. A noi tocca, nel presente, proprio per gratitudine verso di lui e per coerenza con noi stessi, domandarci: che cosa è qui e ora inizio del Regno, e che cosa – per un cristiano- è inaccettabile del modo di vivere diffuso nel nostro tempo o quali sono gli aspetti positivi che diventano, alla luce del Vangelo, migliore conoscenza dell’uomo e servizio alla sua libertà? Vi sono aspetti negativi che toccano il vivere sociale, ad esempio il mercantilismo che domina i rapporti umani, la riduzione dell’economia a finanza, con la conseguenza di mettere in secondo piano il lavoro e quindi la dignità della persona. Vi sono aspetti che si insinuano nella vita della società, ma a partire dalle scelte di ciascuno: il soggettivismo estremo che tocca tutte le dimensioni del vivere; l’indolenza e lo sciupio delle energie della vita per cose vane, frivole, dannose; l’insensibilità per le sofferenze di tanti esseri umani, vicino a noi, e ancor più quelli lontani; l’immoralità della vita. Vi sono aspetti positivi che favoriscono la vicinanza tra gli uomini e la solidarietà: la coscienza diffusa della dignità di ogni persona, il rispetto per la soggettività di ciascuno, la conoscenza di fatti e situazioni al di là del breve orizzonte della nostra quotidianità.

Proprio in fedeltà all’eredità di Siro, noi oggi ricordiamo che al cristiano è chiesto di testimoniare la propria fede nella famiglia umana in cui è inserito “instaurando con questa un dialogo sui vari problemi sopra accennati, arrecando la luce che viene dal Vangelo, e mettendo a disposizione degli uomini le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore. Si tratta di salvare l’uomo, si tratta di edificare l’umana società” (G. S. 3).

Riconsegnare a San Siro la Cattedrale e riconsegnare San Siro alla Cattedrale, così potrebbe essere descritto il doppio movimento sotteso alla cerimonia di oggi, significa anzitutto che quanti di noi frequenteranno il Duomo, riconoscano la responsabilità di imparare a discernere, a riconoscere il bene che nasce e si sviluppa in noi e attorno a noi; amarlo e perseguirlo con fedeltà e costanza.

Riaprire il Duomo facendosi precedere da San Siro, dichiara il nostro comune impegno a desiderare di nutrirci di quel cibo sostanzioso che è l’Eucaristia, donata a noi da Siro pastore; impegno a cercare il Duomo per leggervi tutta la Scrittura, non solo con gesto solitario, ma con la comunità cristiana, così come faremo per sei giorni. Quanti onorano San Siro, e quanti faranno della casa di San Siro il polo di attrazione della loro vita di credenti, sappiano agire in sintonia con il suo esempio che ancora oggi è vivo per noi nella fede.