L’omelia del vescovo Corrado Sanguineti per l’ordinazione sacerdotale di don Marco Labate e don Gabriele Maini

Carissimi fratelli e sorelle,
La Chiesa di Pavia oggi è in festa per il dono di due nuovi sacerdoti, Don Gabriele e Don Marco, diaconi del nostro Seminario: permettete che il mio saluto vada innanzitutto a loro, a voi, carissimi Gabriele e Marco, che con gioia e trepidazione state per ricevere il sacramento del presbiterato. Saluto anche S. E. Mons. Giovanni Giudici, vescovo emerito e mio predecessore sulla cattedra di San Siro, e S. E. Mons. Andrea Migliavacca, Vescovo di San Miniato, Rettore per alcuni anni del nostro Seminario, che ben conosce i novelli presbiteri.

Nella grazia del Giubileo della misericordia, il Signore, attraverso l’imposizione delle mie mani e la preghiera d’invocazione allo Spirito, consacra questi due giovani, che provengono dalle nostre comunità, come suoi ministri, come suoi sacerdoti e come pastori in mezzo al popolo di Dio. Le parole con le quali il profeta esprime la coscienza della sua missione, trovano ora una particolare attuazione per Don Gabriele e Don Marco: «Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione» (Is 61,1).
Sì, fratelli e sorelle, il vero protagonista dell’azione che stiamo compiendo è lo Spirito del Signore, che tra poco consacrerà l’anima di questi nostri fratelli con un’unzione intima e ineffabile, perché diventino strumento vivo dell’unico Pastore, perché possano essere resi partecipi, in modo singolare, del sacerdozio di Cristo, e possano agire in suo nome, in sua persona, annunciando la Parola del Vangelo, celebrando i santi sacramenti, in particolare la Santissima Eucaristia e la Penitenza, e guidando il popolo che sarà loro affidato, come pastori, membri dell’unico presbiterio della Chiesa che è in Pavia, e collaboratori del Vescovo nella cura pastorale di questa amata Chiesa.
Carissimi Don Gabriele e Don Marco, è giusta la vostra trepidazione nel ricevere il Sacramento dell’Ordine attraverso la mia povera persona, è giusta perché si compie in voi un grande mistero, che sarete chiamati a custodire, a scoprire e a vivere, sempre di più, nella vostra vita, che da oggi, non è più “vostra”, è tutta di Cristo e per Cristo, ed è tutta donata al santo popolo di Dio, di cui siete membra e figli, e ora padri, maestri e guide.
È Dio che vi chiama, è Dio che vi consacra con la sua unzione, è Dio che vi manda, «a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati» (Is 61,1), «a promulgare l’anno di grazia del Signore» (Is 61,2), a essere segno trasparente del suo amore fedele e misericordioso, che mai si stanca di cercare ogni suo figlio, che mai si arrende di fronte all’indifferenza e alla chiusura dei cuori smarriti e confusi.

Ma voi potrete vivere con gioia la vostra esistenza e la vostra donazione a Dio e alla Chiesa, potrete attraversare anche le inevitabili prove del ministero, o le ore dell’aridità, dell’incomprensione, della stanchezza, potrete rinnovare il gusto della fedeltà al Signore della vostra vita, solo se sarà sempre vivo il cuore del vostro sacerdozio. E il cuore del vostro essere preti è uno solo: è l’amore personale e profondo di Cristo per voi, e il vostro amore, che suscitato da Lui, diviene un legame forte e vissuto di amicizia con Lui, con Gesù, Signore e Maestro. Perciò, nella vita di ogni presbitero, dovrebbe sempre riecheggiare l’intenso dialogo tra il Risorto e Simon Pietro, con la domanda ripetuta e insistente che, ogni giorno, è rivolta personalmente a ciascuno di noi: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami? Mi vuoi bene?» (Gv 21,16.17). Immaginiamo la sorpresa di Simone, ancora ferito dalla vergogna del suo rinnegamento, immaginiamo come ha balbettato le parole e come, tutto trepidante e cosciente della sua immane debolezza, ha potuto ripetere a Gesù: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene. Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,16.17).
Carissimi Gabriele e Marco, tornate spesso a questo dialogo tra il Signore e Pietro, e al posto di “Simone”, metteteci il vostro nome, e non abbiate paura di ripetere, ogni giorno, a Cristo, soprattutto nei momenti decisivi del vostro cammino: «Signore, tu conosci tutto di me, conosci anche la mia fragilità e il mio peccato. Ma tu sai che ti voglio bene, che senza di Te la mia vita è vuota, che sei Tu la presenza dominante che ha conquistato il mio cuore!». Non dimenticate mai che il ministero sacerdotale è «officium amoris», come amava definirlo Sant’Agostino, è ministero d’amore, d’amore per Cristo, che si esprime nell’amore alle persone, ai fratelli e alle sorelle che vi saranno affidati, in una circolazione virtuosa: da una parte tutto nasce dalla relazione intensa con Cristo e con il Padre, curata e alimentata nella preghiera personale, nella liturgia, nella meditazione quotidiana della Parola di Dio, nell’Eucaristia celebrata con letizia e tremore e adorata nel silenzio, ed è l’affezione semplice e viva per Gesù che vi porterà ad amare la Chiesa, la vostra Chiesa di Pavia, a crescere nella comunione e nell’amicizia con i vostri confratelli presbiteri, a spendervi, senza riserve, per la gente, per le comunità dove sarete chiamati a spezzare il pane della Parola, dell’Eucaristia e della carità. D’altra parte, sarà proprio la concretezza umile e quotidiana del vostro ministero la strada della vostra santità, della vostra crescente appartenenza a Cristo, e sarà lì, nel servizio, nell’incontro con il popolo di Dio, dai bambini ai malati e ai morenti, che voi potrete vedere come Dio è all’opera, molto prima di noi, nei cuori e nelle vicende, talvolta complesse e contraddittorie, della vita e potrete sorprendere, con gratitudine e stupore, come il Signore sia vivo e presente in tanti nostri fedeli, nella ricchezza del quotidiano, in certe prove e sofferenze vissute e portate con amore dignità, nelle risorse nascoste di bene, presenti in tante famiglie, e nella disponibilità di tante persone a lavorare nelle nostre comunità.
Non dimentichiamolo mai: siamo preti generati dal popolo di Dio e costituiti per il popolo di Dio, e come spesso ci ricorda il nostro amato Papa, nel contatto con questo popolo non siamo solo noi che doniamo qualcosa di grande – il Vangelo, i sacramenti – ma noi per primi riceviamo e impariamo. Dunque che ci sia dato di non essere mai preti che s’isolano dal presbiterio, dalla comunione con il Vescovo, e dal tessuto reale delle nostre comunità.

Infine, la parola dell’apostolo Paolo è consegnata a voi, carissimi novelli presbiteri, come un programma di vita: «Perciò, investiti di questo ministero, secondo la misericordia che ci è stata accordata, non ci perdiamo d’animo. Al contrario, abbiamo rifiutato le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunciando apertamente la verità e presentandoci davanti a ogni coscienza umana, al cospetto di Dio» (2Cor 4,1-2). Fa parte costitutiva del nostro essere pastori, il sentirci davvero servi di una Parola che ci è affidata e che ci supera: è la Parola di Dio, è la verità della sua Rivelazione, è il tesoro della fede ecclesiale, da cui siamo generati e nutriti. Non dobbiamo avere paura di annunciare apertamente la verità, anche quando possiamo incontrare il rifiuto, la critica, l’incomprensione, perché la prima misericordia è offrire, con umiltà, letizia e passione, la verità vivente del Vangelo e della fede, senza falsificazioni o riduzioni di comodo, coscienti di ciò che ancora afferma l’apostolo: «Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù» (2Cor 4,5). In questo servizio che siamo chiamati a svolgere, non c’è spazio per pericolosi soggettivismi con i quali pretendiamo di annunciare non la verità limpida della fede e della dottrina della Chiesa, ma le nostre idee, magari mutuate dal mondo, né per comportamenti falsamente “creativi” con cui pieghiamo la liturgia ai nostri gusti o alle nostre sperimentazioni. Così come non c’è spazio per atteggiamenti di arroganza, come se fossimo noi a possedere la verità, quando è la Verità che possiede noi! Manteniamo una coscienza umile e trasparente di ciò che siamo, peccatori in cammino e in continua conversione, ben sapendo che noi abbiamo un tesoro in vasi di creta, perché sia chiaro che dal Signore viene la salvezza e non da noi!

Proprio la coscienza della nostra indegnità, di fronte al dono e al mistero dell’essere sacerdoti di Cristo, ci muova a lasciarci sostenere e accompagnare dalla maternità della Chiesa, madre e maestra, e a coltivare una profonda e tenera devozione alla Santissima Vergine, madre del nostro sacerdozio: carissimi Gabriele e Marco, e voi tutti, carissimi confratelli e fedeli, mettiamoci ogni giorno sotto il manto di Maria, e chiediamo che con la sua preghiera ci ottenga la grazia di un amore a Cristo fedele e fecondo, per la gioia nostra e per il bene di tutto il popolo di Dio. Amen!

+ Corrado Sanguineti
Vescovo di Pavia