L’omelia del vescovo Sanguineti nella S.Messa in ricordo di Mons. Luigi Giussani

Carissimi amici di Comunione e Liberazione,
con gioia celebro questa sera l’Eucaristia per voi, secondo l’intenzione che è stata ricordata all’inizio, a pochi giorni dal 34° anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità (11 febbraio 1982) e dell’11° anniversario della morte del servo di Dio Mons. Luigi Giussani. Siamo nel tempo di Quaresima, un tempo che ogni anno ritorna come grazia offerta alla nostra libertà: la Chiesa, infatti, come madre attenta e intelligente, sa che noi tutti tendiamo a decadere, a vivere nella smemoratezza di ciò che ci è accaduto e nella dimenticanza di Cristo presente. La Quaresima, attraverso i gesti semplici e grandi, antichi e sempre nuovi, della preghiera, in un ascolto più intenso della Parola di Dio, del digiuno, nelle forme richieste e in quelle liberamente assunte, e dell’elemosina, intesa come gesti che educano alla condivisione e alla gratuità, è tempo in cui fissare gli occhi e il cuore su Cristo, “Colui che è tra noi”, nella compiutezza del suo mistero. Così Don Giussani, grande maestro nell’educare a vivere la Liturgia, richiamava, tanti anni fa, il significato di questo tempo: «Viene il tempo in cui la Parola, il discorso cristiano deve nascere dal nostro personale guardare a Gesù Cristo … la liturgia della Quaresima è il sovrano affermarsi di questa salvezza avvenuta, Gesù Cristo. (…) Gesù Cristo nei contorni ormai precisi della sua maturità, nella definizione ormai chiara della sua missione, nel suo volto ormai inconfondibile, presente tra tutte le cose umane. (…) Una misura nuova è entrata nel mondo, una proposta nuova è entrata nella vita, una misura e una proposta così nuove che tutto il gioco della vita sta nell’accettare questa misura nuova oppure nell’affondarsi schiavi della vecchiaia. (…). Tutta la fede è qui: tutta la fede è nella faccia che assumiamo, è nello sguardo che portiamo di fronte a questa persona, nella reazione che abbiamo a questa presenza» (L. Giussani, Dalla liturgia vissuta: una testimonianza, Jaca Book, Milano 1973, 55-56). Sì, tutto nasce e rinasce in noi dalla fede, dalla «faccia che assumiamo», dallo «sguardo che portiamo», dalla posizione che viviamo di fronte a Cristo, a questa Presenza che vive qui e ora nel corpo della Chiesa, nel segno fragile e concreto della nostra unità di credenti. È una Presenza che ha toccato la nostra vita, secondo la libertà suprema dello Spirito, attraverso il carisma donato a un uomo, Don Luigi Giussani, un uomo che ha preso sul serio la sete di vita nella sua vibrante umanità, un uomo che si è lasciato afferrare da Cristo, attraverso il volto di sua madre e attraverso la tradizione in cui è nato, attraverso il cammino in seminario, pieno d’incontri che hanno segnato i passi del suo destino, attraverso l’accadere inatteso e imprevisto di un popolo, intorno a lui. È impressionante pensare come tutto sia iniziato dalla semplicità e dall’impeto del suo giovane cuore, quando, prete già avviato a una carriera teologica, si è lasciato provocare dalla realtà, da quei giovani, incontrati per caso in treno, e scoperti ignoranti del cristianesimo, della vera natura del cristianesimo, sentito e ridotto a uno schema o a un insieme di precetti morali. Così è entrato al liceo Berchet di Milano non con il programma di costruire qualcosa, di organizzare un movimento, ma con il desiderio di comunicare ai giovani ciò che aveva scoperto negli anni del suo seminario e soprattutto la strada, il metodo con cui anche loro avrebbero potuto, liberamente, giudicare della verità della proposta cristiana. E poi, colpisce l’umiltà di quest’uomo, che, come raccontava anni fa, nel primo formarsi di un piccolo gruppo di studenti, colpiti e incuriositi dalle sue lezioni, ha riconosciuto e ha accettato, lui sacerdote stimato nella grande diocesi di Milano, di appartenere all’unità con quei primi compagni di cammino, che gli erano stati dati. Amici, non ci sarebbe questa storia grande che ha investito la vostra vita, senza la fedeltà di Don Giussani a questo fragile inizio, accaduto per grazia, e il movimento vive, può continuare a vivere, incontrando persone di ogni ambiente, magari con percorsi umani sempre più lontani dalla fede, per il riaccadere di questo inizio, che il Signore compie, al di là di ogni nostro progetto. In fondo, il vangelo di questa sera, ci ripropone questo metodo strano e scandaloso di Dio che realizza il suo disegno attraverso una via di debolezza, attraverso qualcosa di fragilissimo e di apparentemente insignificante: Gesù, in cammino verso Gerusalemme, annuncia il suo destino di Messia e di Figlio dell’uomo, rifiutato e messo a morte, e, come sempre accade, viene alla luce la distanza abissale dei suoi discepoli, che sognano avere i primi posti nel regno che verrà – chissà che cosa immaginavano -; come noi, inseguono un’immagine di potere, di efficacia. Gesù, con pazienza, educa i suoi, non va a scegliersi altri discepoli più intelligenti, e parla loro di una via paradossale: «Se davvero volete essere grandi, immedesimatevi con me, bevete il mio calice, partecipate al mio destino e scoprite che la vera grandezza è servire, dare la vita per l’opera di un Altro, per l’opera del Padre!». Così farà Gesù e dall’oscurità della sua morte, dalla sua sconfitta di fronte ai poteri del suo tempo, sorgerà una vita nuova, la sua vita di Risorto e sarà lui, vivo, a raccogliere i suoi discepoli confusi, dispersi, impauriti e con loro darà inizio a un popolo che, spesso piccolo gregge, attesta la sua presenza nella storia. Proprio se guardiamo alla storia di questo popolo, la Santa Chiesa, se guardiamo al cammino e alla storia del Movimento generato dal carisma di Don Giussani, ci rendiamo conto che questo popolo cresce e incide non per spazi di egemonia che conquista, ma per la testimonianza di un’umanità resa più bella, più vera, più pura dalla fede e che è capace di intercettare e di sorprendere chi è semplice e leale con il proprio cuore. In questo tempo, così pieno di sfide e di provocazioni, guardiamo allora dove riaccade la Sua Presenza, seguiamo chi ci testimonia la novità e la bellezza umana che solo Cristo rende possibile, anche nelle circostanze più complesse o contraddittorie: non perdete mai di vista che c’è un legame stretto tra il carisma che è all’origine della Fraternità e del Movimento, e la storia, la forma storica che questa realtà ha assunto, nell’alveo della grande obbedienza ecclesiale. La fecondità e la permanenza di questo flusso di vita, nato dal cuore e dalla carne del Servo di Dio Don Giussani, per il bene della Chiesa, anche della Chiesa che è in Pavia, che mi è affidata, dipendono dal vivere un’obbedienza carica di stima verso chi oggi ha la responsabilità di guidare il Movimento, nella fedeltà al carisma originario: un’obbedienza dove entra in gioco la libertà di ciascuno, anche con le sue domande e fatiche, dentro un dialogo, in cui umilmente ci facciamo tutti discepoli dell’esperienza originaria, espressa nei testi scritti del Fondatore e nei testi viventi, che sono le presenze nelle quali vibra oggi la bellezza del carisma e che per questo sono capaci di un rapporto intenso e appassionato con tutta la realtà, a ogni livello, tesi a valorizzare e a incontrare l’umano. Nel vangelo i discepoli discutono tra loro, e Gesù taglia corto: li provoca a seguirlo e a entrare in nuova logica, capovolgendo i loro criteri. Solo così, attraverso il dramma della sua Pasqua, potranno essere i suoi testimoni, inviati a tutte le genti. Fratelli e sorelle, il rischio di attardarsi in dispute non è solo di ieri e non riguarda solo i Dodici! Il Cardinale Scola, nella messa alla Fraternità del 16 febbraio scorso, avvertiva di una possibile tentazione, che indebolisce l’esperienza del Movimento: «Nel necessario, continuo immedesimarsi all’esperienza e al pensiero del fondatore non bisogna cercare conferme per la propria interpretazione considerata, anche in buona fede, come l’unica adeguata. Questa posizione genera interminabili dialettiche e paralizzanti conflitti d’interpretazione». Invece sentite bruciare in voi il desiderio di testimoniare in ogni circostanza, in ogni ambiente, in ogni rapporto, la bellezza e la letizia che Cristo immette nell’esistenza, riscoprite l’impeto della missione che ha come orizzonte il mondo intero, e che vibra del desiderio che i nostri fratelli uomini possano conoscere, amare e seguire Gesù Cristo, vivente e presente qui e ora nella sua Chiesa. La semplicità e la passione nel vivere la fede, là dove siete e vivete, è il contributo che potete dare alla vita della nostra Diocesi e che mi attendo da voi: non importa, in prima istanza, il numero, importa la vivezza di un cuore che si innamora di Cristo e che accetta di vivere intensamente il reale, con tutte le sue provocazioni. Come ebbe a dire una volta San Giovanni Paolo II: «Vivete Cristo e contagerete il mondo!». Che la Madonna, così teneramente amata da Don Giussani, rinnovi in tutti noi la lieta sicurezza e l’ingenua baldanza che sono il segno più immediato di una fede viva! Amen.

+ Mons. Corrado Sanguineti
Vescovo di Pavia