“Nozze” d’argento con Treviso

Sabato 11 febbraio 1989 faceva il suo ingresso nella diocesi di Treviso il vescovo Paolo Magnani. Nato a Pieve Porto Morone, in diocesi e provincia di Pavia nel 1926, nei 12 anni precedenti era stato vescovo di Lodi. Dopo aver guidato la nostra diocesi per 15 anni, dal 18 gennaio 2004 è vescovo emerito, ed ha scelto di vivere a Treviso, nella parrocchia di Sant’Agnese, dove lo raggiungiamo per raccogliere alcuni ricordi e impressioni.
 
Eccellenza, nei prossimi giorni lei celebrerà le “nozze d’argento” con Treviso. Congratulazioni! Come ricorda il suo ingresso in diocesi 25 anni fa?
Del mio ingresso a Treviso conservo un ricordo buono e piacevole. Era una giornata luminosa alla quale la gente faceva riscontro con una luminosità di gesti e di parole. Io ero sconosciuto a Treviso, ma la diocesi mi ha subito riconosciuto come suo vescovo. Fu quella una giornata permeata di festosità e di preghiera. Quattro giorni dopo mi fu recapitato un foglio, logoro, povero, giallognolo, sul quale era scritta questa preghiera: un buon pastore per la nostra Diocesi Madonna Benedetta donagli salute dell’anima e del corpo, un Pater Ave Gloria S. Pio X S. Liberale Santi tutti di Dio pregate per lui”. Il testo è scritto così, senza punteggiatura e non è firmato. E’ così che sono entrato a Treviso, con l’invocazione di tutti i Santi, e il biglietto è conservato da me come una reliquia diocesana.
 
Quale caratteristica del territorio e di questa chiesa l’aveva colpita?
Quando si entra in una diocesi è importante cogliere le caratteristiche del suo territorio, perché nel territorio prende forma e qualità la vita di fede e la vita di Chiesa. La mia prima impressione nel merito è stata quella di venire a contatto con un territorio bello: dalla bellezza e varietà del paesaggio, alla bellezza delle chiese e delle parrocchie. Ma c’è un altro tipo di bellezza con cui mi sono subito impattato, quello della carità e della solidarietà vissuta con una prossimità attiva con gli emarginati e con gli immigrati.
 
Dopo tanti anni fra noi, si sente in qualche modo “cambiato” da questa realtà? Si sente trevigiano?
Quanto al mio cambiamento devo riconoscere che è iniziato dal giorno del mio ingresso in Diocesi. Un vescovo nuovo, quando arriva, si preoccupa di cambiare. Questo è ovvio, ma è anche una tentazione per il vescovo arrivare in una Chiesa, come quella di Treviso, che ha secoli di storia. Io sono arrivato a Treviso come il 92°, nella cronologia dei vescovi di Treviso. Certo ogni vescovo sperimenta la preoccupazione di dover cambiare qualcosa, ma nello stesso tempo di cambiare se stesso. Per cui gli è necessario conoscere le tradizioni spirituali e culturali della Diocesi e viverle soprattutto stando con la gente che a sua volta influisce sulla pastoralità del vescovo e lo fa crescere proprio come pastore. Venticinque anni fa cambiavo domicilio, ma oggi ho cambiato modo di pensare e di stare accanto ai fratelli e sorelle trevigiani, non come estraneo ma come convivente.
 
Come vede questo passaggio storico in cui anche il territorio trevigiano è profondamente colpito dalla crisi?
E qui ancora si parla di cambiamento. Venticinque anni fa lo sviluppo economico del Trevigiano era sotto gli occhi di tutti. Di ciò si diceva bene, ma con qualche riserva perché alla montagna di “schei” non corrispondeva uno stesso volume di cultura. Ora siamo nella crisi, ma io penso che l’intraprendenza di questo territorio la supererà con ingegno e con l’abilità imprenditoriale e commerciale che gli è congeniale. Ma deve guardarsi dal pensare al denaro prima di tutto e sopra tutto. Il “prima di tutto” è Dio e sono i nostri fratelli. Allora, invochiamo più fede.
 
Quale la sfida più importante che papa Francesco sta lanciando alla Chiesa e al mondo?
La sfida di papa Francesco è quella dell’evangelizzazione rivolta a tutti, nella quale viene proposto l’amore misericordioso di Dio Padre e il nostro destino di salvezza nella persona di Gesù Cristo. Inoltre, egli insiste sui primi destinatari di questa evangelizzazione, che chiama “periferie”: non solo territoriali ma anche psicologiche, esistenziali. Lì, nei poveri, negli emarginati, negli esiliati, negli immigrati, negli affamati, nei senza casa, c’è il territorio umano dell’evangelizzazione. E sempre lì, non solo «pensando» ma «facendo», si evangelizza. Nella sua totalità l’evangelizzazione è un’opera reversibile. Dicono che papa Francesco non sia un grande esperto di lingue straniere, ma ne parla una che tutti comprendono: quella dell’amore!
 
Alessandra Cecchin
(da La Vita del Popolo – domenica 9 febbraio 2014)