Omelia della Santa Pasqua di Resurrezione

04-04-2021

Carissimi fratelli e sorelle,

Oggi la Chiesa gioisce per il mistero della risurrezione del suo Signore: «Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo». Così cantiamo nel tempo pasquale, riecheggiando il Salmo 117 che più volte pregheremo come salmo responsoriale.

Abbiamo proprio bisogno di questa gioia, che si fa esultanza nel cuore e nel canto, in questo tempo in cui il mondo sta ancora vivendo, insieme a tanti drammi, la prova della lunga pandemia: eppure il cuore non riesce a rassegnarsi, a non sperare, perfino la primavera che esplode intorno a noi porta con sé una promessa e un annuncio di vita, che vita che rinasce dopo il letargo dell’inverno. Non è un caso che l’antica festa ebraica di Pesach abbia avuto origine come celebrazione legata al ciclo delle stagioni, prima in ambiente di vita nomade e poi in ambiente sedentario, con lo sviluppo dell’agricoltura, all’inizio della primavera: probabilmente è nata come festa pastorale, praticata dalle popolazioni nomadi del Vicino Oriente e quando le tribù semite divennero più sedentarie si trasformò in una festa agricola, in cui si offrivano le primizie della mietitura dell’orzo, attraverso la cottura del pane azzimo. Con gli eventi dell’Esodo divenne memoria della liberazione dalla schiavitù d’Egitto e il segno dell’agnello e dei pani azzimi acquistò un nuovo significato.

Con Gesù, con gli eventi della sua passione, morte e risurrezione, la Pasqua divenne la prima festa celebrata, con un contenuto nuovo, nelle prime comunità cristiane, nate dalla testimonianza degli apostoli. Nella prima lettura, abbiamo ascoltato un tratto del discorso che Pietro rivolge al centurione Cornelio e alla sua famiglia; Luca, autore degli Atti, ci trasmette uno schema essenziale della predicazione originaria, si percepisce chiaramente che, dopo avere richiamato per cenni l’attività e la figura di Gesù di Nazaret, il cuore dell’annuncio era l’evento della sua risurrezione, azione di Dio che capovolge l’opera degli uomini: «Noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At 10,39-41).

Ecco, celebrare la festa di Pasqua è celebrare un mistero e un evento, un avvenimento che certamente non è alla portata dei nostri sensi, perché Gesù risorgendo non torna nella condizione di prima, com’era accaduto a Lazzaro, ma va oltre, entra con la sua umanità, con la sua carne glorificata nella vita piena di Dio, e da allora egli è il Vivente, non muore più! La risurrezione è opera del Padre, è Dio che risuscita dai morti Gesù, non permette che suo Figlio resti prigioniero della morte e della corruzione. Allo stesso tempo, la Risurrezione di Cristo è un avvenimento reale, Gesù risorge veramente e realmente, e di questo avvenimento vi sono segni e tracce dentro la nostra storia, dentro la nostra vita umana.

La nostra fede nella risurrezione di Cristo, nella sua nuova condizione di Vivente, è una fede “testimoniale”, che si fonda sulla testimonianza dei primi discepoli, si comunica a noi attraverso testimoni viventi del Signore, uomini e donne che fanno trasparire nel loro modo di essere, di vivere e agire, una Presenza che opera, che cambia la loro umanità, e noi stessi, carissimi amici, partecipando di questa fede e di questa vita, diventiamo testimoni del Risorto, per ciò che siamo, per ciò che portiamo, spesso senza saperlo, senza rendersi conto che davvero un Altro si fa presente in noi e attraverso di noi.

Questa è la via che Cristo ha scelto: non si è manifestato, in modo spettacolare, mostrandosi a tutti, a tutto il popolo, a coloro che lo avevano condannato. No, Gesù non ha mai amato lo “spettacolo”, non ha mai voluto imporsi, forzando o annullando la libertà degli uomini. Come ricorda San Pietro, «Dio … volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti».

Anche la bellissima pagina del vangelo di Giovanni ci fa rivivere l’emozione e il realismo della scoperta dei primi segni della risurrezione, segni affidati alla memoria e all’annuncio di testimoni concreti: c’è, innanzitutto Maria di Màgdala, che prestissimo, quando è ancora notte, va al sepolcro di Gesù, non riesce a stare lontana dal suo amato Maestro, che ha visto morire sulla croce ed essere poi deposto, con cura, nella tomba messa a disposizione da Giuseppe d’Arimatèa. Quando vede che la pietra è stata tolta dal sepolcro, pensa al peggio, che abbiano portato il corpo del Signore, che lei non abbia nemmeno quello su cui piangere! Solo dopo, quando saranno andati via i due discepoli accorsi a vedere, Maria sarà la prima a incontrare il Risorto, e sarà la prima a portarne l’annuncio agli altri: «Ho visto il Signore!» (Gv 20,18). Ci sono poi Pietro e l’altro giovane discepolo, «quello che Gesù amava», tradizionalmente identificato con lo stesso apostolo Giovanni, che corrono al sepolcro, avvisati da Maria: è tutta una corsa, quella mattina, piena di tremore e di stupore!

Che delicatezza e attenzione: il più giovane, che arriva per primo, attende Simon Pietro, che nel nome porta il compito di essere la guida e la roccia tra i discepoli, e solo dopo di lui, entra nel sepolcro. Pietro osserva con attenzione «i teli posati là  e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte» (Gv 20,6-7), i teli funerari, sindone e bende, che giacciono a terra, come afflosciati, e il sudario piegato a parte, segni che non si è trattato di un furto, anzi che è accaduto qualcosa di eccezionale, d’inimmaginabile. Giovanni, con la chiaroveggenza e l’intuizione dell’amore, comprende: «Vide e credette» (Gv 20,8). Tuttavia l’evangelista avverte che, in fondo, se avessero compreso la Scrittura, avrebbero già dovuto capire che Gesù come messia e servo fedele del Padre «doveva risorgere dai morti» (Gv 20,9).

Ecco, così è nata ed è maturata la fede della Chiesa, fin dall’inizio, nella realtà della risurrezione del Signore, attraverso i segni e la testimonianza dei primi discepoli, e nell’intelligenza piena delle Scritture, che già prefiguravano le sofferenze, la morte e la risurrezione del Cristo di Dio.

Carissimi fratelli e sorelle, attraverso una catena di testimoni, che ha il suo anello nella generazione degli apostoli, Cristo risorto continua a manifestarsi, perché noi tutti siamo cristiani non per una nostra iniziativa, ma perché siamo raggiunti da una testimonianza, dentro la vita della Chiesa, della comunità cristiana, che custodisce e trasmette a noi la parola dell’annuncio e delle Scritture, i segni sacramentali del Risorto, soprattutto l’Eucaristia, la mensa nella quale possiamo mangiare e bere con lui, una comunità dove risplende la testimonianza di fratelli e sorelle grandi nella fede, i santi, con o senza aureola, passati e presenti.

Lo Spirito apre il nostro cuore e nella misura in cui siamo disponibili, ci dona la certezza lieta della fede in Cristo morto e risorto, presente qui e ora: questa è la ragione della nostra speranza e della nostra gioia, che nulla può toglierci! Se Cristo è risorto, allora siamo veramente liberi, perché la morte è vinta, è trasformata in un passaggio, sì doloroso, ma un passaggio alla vita piena in Dio; il peccato, se riconosciuto, è perdonato nella potenza di un amore smisurato, e la sofferenza, che accompagna certe stagioni della vita, non è più qualcosa di oscuro e insensato, è cammino alla gloria, come per Gesù, è misteriosa purificazione e conformazione a Cristo crocifisso e risorto!

Con questo cuore, facciamo nostre la parole dell’antica sequenza pasquale che abbiamo cantato: «Scimus Christum surrexísse a mórtuis vere:

 tu nobis, victor Rex, miserére».

«Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto.

Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi». Amen!