V domenica per Annum, giornata per la Vita

07-02-2021

La Liturgia della Parola in questa domenica è in sintonia con la celebrazione della 43°Giornata per la Vita, promossa dalla Chiesa Italiana sul tema “Libertà e Vita”.

Le letture di oggi, in particolare il passo del libro di Giobbe e la pagina evangelica di Marco, mostrano al vivo l’esperienza drammatica della fragilità dell’umana esistenza e della cura e attenzione che Gesù incarna verso le persone ferite dalla malattia, dalla sofferenza, dalla presenza misteriosa e oscura del maligno.

Si, carissimi fratelli e sorelle, la vita, ogni vita è un dono prezioso e delicato, affidato alle nostre cure, alla nostra libertà: possiamo accoglierla, servirla, possiamo ospitare e amare la vita di ogni creatura umana dal suo concepimento al termine naturale come un dono puro e gratuito, un dono che proviene dal Dio della vita, dal Dio che ci chiama alla vita, al avita temporale-ovviamente limitata e esposta , vulnerabile-come lo abbiamo riscoperto in questi mesi-alla vita che ogni giorno fiorisce, nasce, cresce e muore, come un miracolo di cui stupirsi e insieme Dio ci chiama attraverso il cammino di questa vita, attraverso la nostra libertà, ci chiama alla vita eterna, piena oltre la morte. Quella pienezza di vita che Giobbe non aveva ancora intravisto e che si dischiude pienamente in Gesù morto e risorto nel suo Vangelo: “I miei giorni scorrono più veloci di una spola, svaniscono senza un filo di speranza. Ricordati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene”. In questo tempo, in questi mesi di pandemia viviamo un paradosso, un contrasto stridente e scandaloso: da una parte quanti gesti, quanto impegno di cura della vita, quanta cultura della prossimità, quanta vita donata per far fronte comune all’emergenza! Dall’altra parte quanta chiusura alla vita, alla vita nascente nel mondo (più di 42 milioni di aborti: ogni giorno 117.000, 4860 all’ora, 81 al minuto, più di 1 al secondo), quante pratiche di eutanasia, più o meno nascoste, e poi le sperimentazioni su embrioni, l’indegno mercato dell’utero in affitto. E poi la vergognosa chiusura agli immigrati nel cuore dell’Europa, le guerre dimenticate, lo sfruttamento dei bambini: quante vite umane violate, deturpate, cancellate, rese invisibili.

Certo, non andava molto meglio quando Gesù venne e iniziò a percorrere i villaggi della Galilea. Che cosa fece Gesù? Non si mise a incriminare il mondo, tagliò corto: fece il Cristianesimo. Secondo quanto scriveva Charles Peguy: Questo mondo moderno non è solamente un mondo di cattivo cristianesimo, questo non sarebbe nulla, ma un mondo incristiano, scristianizzato. Ciò che è precisamente il disastro è che le nostre stesse miserie non sono più cristiane. C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a gemere ed interpellare la cattiveria dei tempi. Egli tagliò corto. In un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Egli non si mise a incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo. (Charles Peguy, Veronique)

Attraverso di Lui e poi attraverso i suoi discepoli, ha reso presente uno sguardo carico di bene, di cura, di amore alla vita, alla vita fragile, sofferente, alla vita reale che assume il volto amico e irripetibile di ogni uomo, donna, bambino. IL racconto di Marco mette davanti ai nostri occhi l’umanità divina di Cristo: un’umanità commossa, che si lascia toccare dal bisogno della vita di chi incontra. Che bello: Gesù si muove negli ambienti normali della vita (la casa, la piazza, la strada, la sinagoga) non sta chiuso in un recinto sacro, è impaziente di incontrare gli uomini, perciò non vuole essere catturato e trattenuto dal successo: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto”. Che tenerezza, che delicatezza, che potenza di guarigione e di liberazione: “Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva”. E tutta la città radunata alla sera davanti a Lui!

Ecco, fratelli e sorelle, i primi cristiani, immersi nell’impero pagano di Roma, non avevano la forza di contrastare certi costumi e il potere dominante: eppure proprio testimoniando il Vangelo, vivendo la novità del Vangelo di Gesù, hanno reso presente e visibile uno sguardo pieno di rispetto e di amore alla vita, al mistero e al dono di ogni vita: non esponevano i bambini deformi e davano sepoltura a quelli abbandonati; non praticavano l’aborto; non frequentavano gli spettacoli crudeli e inumani del circo; trattavano con rispetto gli schiavi, i bambini; non seguivano l’immoralità crescente nella vita sessuale. Così, lentamente, mentre una civiltà malata andava decadendo, i cristiani, stando nel mondo, hanno dato forma a un nuovo modo di essere, naturalmente senza la pretesa di realizzare un mondo perfetto, senza peccato.

Questa è la nostra missione oggi: essere testimoni del Vangelo della vita, testimoni di un’umanità più umana. Amen.