Vespri delle Sante Spine

24-05-2021

Distinte autorità civili e militari,

Stimati rappresentanti del mondo sociale ed economico,

Carissimi fratelli e sorelle nel Signore,

La festa delle Sante Spine, che appartiene alla storia e alla tradizione cristiana di Pavia, ci trova quest’anno segnati da un intreccio profondo di speranze e dolori, di attese e incertezze: sullo sfondo c’è la situazione che condividiamo con tutto il nostro paese e con il mondo intero, legata alla lunga pandemia da cui stiamo progressivamente uscendo, e al senso diffuso di una “ripartenza” e di una ripresa, che tutti ci auguriamo possa realizzarsi, senza lasciare indietro nessuno, con particolare attenzione ai soggetti più fragili e più deboli. Pensiamo alle famiglie che vivono fatiche e difficoltà non solo economiche, ma anche nel tessuto delle relazioni quotidiane, nell’educazione dei figli, agli anziani, nelle loro case o nelle strutture di accoglienza, particolarmente provati dal lungo periodo di limitazioni nei contatti con i loro familiari, ai più giovani che per mesi hanno dovuto vivere una vita di relazioni rarefatta, con la crescita preoccupante di forme di disagio psicologico ed esistenziale in non pochi bambini, adolescenti e giovani.

Soprattutto, in queste ore, siamo tutti feriti e sgomenti per la tragedia che si è consumata ieri, con la caduta della funivia al monte Mottarone, che ha causato la morte di 14 persone, tra le quali, purtroppo, anche alcuni bimbi: coppie di sposi e di fidanzati, famiglie intere, tra le quali una famiglia israeliana, residente a Pavia, nel quartiere del Borgo.

Vogliamo qui, davanti al Signore, ricordare i loro nomi: papà Amit Brian (30 anni) e sua moglie Tal Peleg (26 anni), il loro piccolo Tom (2 anni); l’altro figlio Eitan (5 anni), unico superstite, in gravissime condizioni – che proprio venerdì scorso era presente con i suoi compagni nella mia visita alla scuola dell’infanzia “S. Maddalena Canossa”; con loro anche i bisnonni, venuti a trovarli da Israele, Ishak Cohen (81 anni) e Barbara Konisky (71 anni), nonni di mamma Tal.

Siamo tutti senza parole, sicuramente in noi si agitano sentimenti d’incredulità, di desolazione, forse anche di rabbia e di ribellione: sembra un amaro e cinico “scherzo del destino” che devasta la vita di intere famiglie, che getta un’ombra oscura su una prima domenica di vita più “normale”, dopo mesi di chiusure, che sembra voler atterrare la voglia di vita, che in queste settimane si avverte tra la gente, in città e nei paesi, nelle piazze e nelle vie, negli oratori che tornano a risuonare di voci.

Ecco, carissimi fratelli e sorelle, proprio in queste ore, risentiamo con nuova forza le domande radicali sul vivere e il morire: possibile che tutta la ricchezza di esistenze in cammino, di affetti vivi, di progetti e di opere abbia a finire nel nulla, nello schianto di un istante? Questi nostri fratelli e sorelle, come i familiari e amici che ci hanno lasciato in questo anno e mezzo di emergenza sanitaria, dove sono ora? Che ne è di loro?

Tutti avvertiamo come un brivido, e percepiamo che sarebbe disumano e ingiusto nascere, vivere, mettere al mondo dei figli, se tutto finisse con la morte, se noi uomini e donne fossimo strani esseri, una parentesi tra due nulla, abitati però da una sete immensa d’infinito, totalmente “squilibrati” rispetto agli altri viventi. Dice giustamente il Concilio Vaticano II in un passaggio della Gaudium et spes: «L’uomo, in verità, non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana» (n. 14).

Certo, carissimi fratelli e sorelle, restiamo in silenzio di fronte al mistero che ci avvolge, non pretendiamo di avere risposte a tutto e di capire tutto, eppure solo riconoscendo che la nostra esistenza è rapporto con un mistero che si supera e ci trascende, Dio, eterna fonte dell’essere, e che nulla di noi e di ciò che viviamo si perde in Dio, possiamo stare da uomini di fronte a certe tragedie, senza essere condannati all’assurdo e senza essere sopraffatti dalla disperazione o da un cinismo amaro, senza speranza!

Così, con l’animo ferito e nudo, questa sera guardiamo al segno delle Sante Spine: le spine della corona di Cristo, re umile e apparentemente sconfitto, deriso e umiliato. In Gesù, nel mistero della sua passione, rappresentata dalle Sante Spine che veneriamo da secoli, e della sua risurrezione dai morti, noi incontriamo e vediamo all’opera, in un segno umano, la presenza di un amore che è più potente della violenza, dell’ingiustizia, della morte.

Dio, il Padre, in Cristo, suo Figlio, apparso tra noi in forma umana, si china sulla nostra miseria, sulle nostre ferite, e davanti all’umana protesta per la sofferenza, soprattutto quando ci appare ingiusta, davanti al grido del cuore che non trova una ragione e un senso a tanto dolore, non ci dà una spiegazione, non ci risponde con un discorso più o meno convincente. Si fa lui presente, condivide fino in fondo il dramma della nostra condizione umana, fino alla croce, fino alla morte, una morte ignominiosa e orribile, e proprio nell’oscurità di quelle ore, Gesù fa splendere un amore che non indietreggia, che non viene meno, che è capace solo di pietà e di perdono. Ed è l’amore, che il Padre sostiene e anima, è l’amore che vince sulla croce e assume su di sé tutta la sofferenza, la ribellione, la disperazione, il peccato degli uomini di ogni tempo, è l’amore che in Cristo risorto, con le sue piaghe gloriose, non cancellate, per sempre scolpite nel corpo del Signore, vince la morte e la trasforma in un passaggio, certo travagliato e sofferto, alla vita, alla vita piena in Dio: lì ci precedono i nostri cari che ci hanno lasciato, lì le famiglie spezzate dalla tragedia di ieri si ricomporranno per sempre, lì tutto ritrova luce e pace.

Le Sante Spine sono memoria del dolore e dell’amore di Cristo, dolore e amore per sempre intrecciati, anche dentro il nostro umano cammino: come cristiani, come umili discepoli del Signore crocifisso e risorto, testimone affidabile e credibile del Padre, siamo chiamati a dare testimonianza di questa speranza, soprattutto in questo tempo, cercando di essere presenze positive, che sanno collaborare con chiunque desidera vivere e costruire, amare e sperare. C’è una grande opera che ci attende nei prossimi anni, un’opportunità di ripensare modelli di vita e di società, ognuno con le sue competenze e responsabilità, dai governanti agli uomini dell’economia e della finanza, dagli amministratori agli operatori sanitari, dagli insegnanti di ogni ordine e grado agli uomini di cultura, da chi riveste ruoli e servizi fondamentali nella vita civile a chi svolge attività minori o semplicemente cura e fa crescere i suoi piccoli. Noi come Chiesa di Pavia, desideriamo essere presenti con il nostro volto, le nostre comunità e i nostri oratori e altri spazi educativi e formativi – penso alle scuole paritarie cattoliche – e qui c’è un campo di ampia collaborazione che si apre soprattutto ai laici cristiani, negli ambienti di vita, di studio e di cultura, di sport e di lavoro, dove si dà forma al tessuto sociale del nostro paese. Permettetemi, carissimi fratelli e sorelle, un’ultima nota: nell’omelia di ieri, solennità di Pentecoste, Papa Francesco ha invitato i credenti a vivere la missione oggi, nella luce dello Spirito, chiamato nella Scrittura il Paràclito, il Consolatore. Credo che nelle parole del Papa, troviamo un’indicazione davvero preziosa, anche per stare accanto a chi è ferito dal dolore e avverte la vita più come un peso che come un dono: «Sì, lo Spirito ci chiede di dare corpo alla sua consolazione. Come possiamo fare questo? Non facendo grandi discorsi, ma facendoci prossimi; non con parole di circostanza, ma con la preghiera e la vicinanza. Ricordiamo che la vicinanza, la compassione e la tenerezza è lo stile di Dio, sempre. Il Paraclito dice alla Chiesa che oggi è il tempo della consolazione. È il tempo del lieto annuncio del Vangelo più che della lotta al paganesimo. È il tempo per portare la gioia del Risorto, non per lamentarci del dramma della secolarizzazione. È il tempo per riversare amore sul mondo, senza sposare la mondanità. È il tempo in cui testimoniare la misericordia più che inculcare regole e norme. È il tempo del Paraclito! È il tempo della libertà del cuore, nel Paraclito».

Venerando questa sera le Sante Spine e ricevendo la benedizione con queste preziose reliquie della Passione del Signore, chiediamo allo Spirito che ci renda testimoni della consolazione del Padre, facendosi prossimi ai nostri fratelli e alle nostre sorelle. Amen!