Veglia Pasquale 2021

03-04-2021

Carissimi fratelli e sorelle,

La solenne veglia che stiamo celebrando avviene in orario serale – purtroppo, a causa delle disposizioni sanitarie abbiamo dovuto anticiparla – e si è aperta con il rito della benedizione del fuoco e la preparazione del cero pasquale, che è entrato nella nostra cattedrale, immersa nel buio: solo successivamente si sono accese le candele e poi si è fatta piena luce intorno a noi. In questo modo, abbiamo voluto esprimere il mistero della Pasqua di Cristo, come il dono di una luce che fende il buio della notte, il buio della morte, e che lentamente si diffonde. Il cero pasquale, incensato e collocato accanto all’ambone, luogo da cui si proclama la parola del Vangelo, è il segno visibile di Cristo risorto, che illumina le tenebre, e resterà acceso in ogni celebrazione, per i cinquanta giorni del tempo pasquale, da oggi fino a Pentecoste, proprio per significare la presenza del Risorto tra noi, nella Chiesa.

È ciò che è accaduto all’inizio, secondo la testimonianza dei vangeli e nella vita delle prime comunità cristiane: la fede cristiana, in modo pieno, nasce a Pasqua, come annuncio di luce e di vita che, affidato ai testimoni della risurrezione di Cristo – le donne e poi i primi discepoli – si diffonde nel tempo e nella storia, da persona a persona, attraverso la luce che si riflette e splende nel volto, nella parola e nell’esistenza dei testimoni del Risorto, iniziando dagli apostoli e dai primi martiri, arrivando a noi oggi, attraverso la lunga scia luminosa dei santi, attraverso la vita del popolo cristiano e le presenze che ci hanno comunicato la fede e ci sostengono nell’adesione a Cristo.

Anche per voi, carissime catecumene, che in questa veglia diventate cristiane, celebrando il Battesimo, la Cresima e accostandovi per la prima volta all’Eucaristia, la luce del Vangelo è giunta a voi innanzitutto attraverso l’incontro con altri credenti e una prima esperienza della comunità cristiana; in questi mesi siete state accompagnate dalle vostre catechiste e dalle madrine, da amici, fratelli e sorelle nella fede, da Don Giampietro, responsabile del cammino del catecumenato per persone giovani e adulte: sarà importante, per proseguire il cammino, restare ben attaccate a chi oggi vi sta accompagnando e sentirvi sempre più partecipi della comunità cristiana, nelle parrocchie dove abitate, nella bella comunità latino-americana presente nella nostra Diocesi, curata da Don Nicolas, con la collaborazione di alcune religiose e di fedeli laici.

Questo carissimi amici, vale per tutti noi: la vita nuova del Risorto in noi, che inizia nel Battesimo, come ci ha ricordato San Paolo nella lettura tratta dalla sua lettera ai Romani, perché cresca e diventi davvero un cammino «in novità di vita» ha bisogno di essere custodita e alimentata non da soli, ma appartenendo alla Chiesa, alla comunità dei discepoli e amici di Gesù, ascoltando la Parola di Dio, attingendo la grazia nei sacramenti, in particolare della Penitenza e dell’Eucaristia, che ci accompagnano e non fanno mancare il perdono che ci rialza dai peccati e il Pane della vita, che ci sostiene.

Abbiamo ascoltato il breve racconto dell’evangelista Marco, che alla fine del suo vangelo, fa risuonare l’annuncio pasquale: protagoniste sono alcune donne, che avevano seguito Gesù dalla Galilea, in parte nominate nella scena della sepoltura di Gesù, deposto dalla croce. Esse si recano all’alba, al sepolcro proprio per completare la sistemazione con aromi e profumi del corpo senza vita del loro amato maestro: «Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole» (Mc 16,1-2). La sera di quel giorno, entrando oramai nel sabato, non era stato possibile compiere pienamente e con cura questi gesti, che per le donne erano un modo vivo e concreto di esprimere l’affetto e la venerazione per Gesù. Ora che il sabato è terminato, alle prime luci dell’alba del primo giorno della settimana – quel giorno che prenderà il nome di dies dominica, o dies Domini, “giorno del Signore” – le donne vanno al sepolcro: evidentemente pensano di andare a visitare la tomba di un morto e si preoccupano se troveranno qualcuno che aiuti a rotolare via il masso che chiude il sepolcro. Marco evoca questa difficoltà: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?» (Mc 16,4). Quella pietra che segna il confine tra la luce e il buio della tomba è un segno dell’insuperabilità della morte: noi, uomini e donne, non siamo in grado di rimuovere il macigno della morte, di aprire i sepolcri a una nuova vita. Per questo motivo, le donne agiscono e ragionano nell’orizzonte dell’umano morire, al massimo, come credenti nel Dio d’Israele, attendono una risurrezione finale, all’ultimo giorno.

L’evangelista ci trasmette il senso di sorpresa, il carattere assolutamente inatteso di ciò che è accaduto nel silenzio del sepolcro: «Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande» (Mc 16,5). Ecco un primo segno dell’azione potente di Dio: la grande pietra è stata rimossa e la tomba è aperta, è vuota. Non è una “prova” della risurrezione, è un segno che interroga: d’altronde, come avrebbero potuto i primi discepoli annunciare la risurrezione di Gesù, se la tomba, nota e identificata, avesse ancora contenuto il suo corpo esanime?

Ora le donne entrano e sono le prime ad ascoltare il grande annuncio, rivolto a loro da un misterioso inviato di Dio, un giovane dalla veste bianca, colore della risurrezione e della vita nuova: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”» (Mc 16,6-7).

Tutto inizia da questo annuncio, che da allora attraversa la storia e raggiunge il cuore degli uomini: è un annuncio affidato alla voce delle donne – che, almeno nel racconto di Marco, inizialmente, sono prese da paura e spavento e non dicono nulla – e poi degli apostoli, che avranno la gioia d’incontrare il Risorto e diverranno i suoi testimoni, fino alla fine, fino al martirio. Questa sera è per noi, che siamo qui, per voi carissime sorelle catecumene, che state per rinascere come figlie di Dio, nella potenza della Pasqua di Cristo. Le donne all’alba della prima domenica della storia, sentono parole che riaprono la speranza e danno origine a un nuovo cammino: «Non abbiate paura!». Quante volte ritorna questo invito nella Bibbia, quante volte è risuonato sulle labbra di San Giovanni Paolo II – ieri era il sedicesimo anniversario del suo transito al cielo – e quanto ne abbiamo bisogno oggi, dopo un anno di pandemia, mentre attraversiamo un tempo in cui s’intrecciano timori e attese, speranze e incertezze!

«Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso»: voi ragionate, in fondo, pensando che la morte sia l’ultima parola sulla vita, sulla vita di Gesù, sulla vita di ogni uomo e di ogni donna. Invece, è accaduto un avvenimento che cambia tutto: «È risorto, non è qui». Cristo non è tra i morti, non è un “passato”, un estinto, di cui al massimo si conservano ricordi e insegnamenti: egli è vivo e va cercato e riconosciuto tra i viventi, nella nostra “Galilea”, nel tessuto della nostra vita. Qui lo possiamo incontrare nella parola del Vangelo che fa ardere il cuore, nel pane spezzato alla mensa dell’Eucaristia, nel dono di amici e di testimoni, nei quali traspare la sua presenza all’opera.

Apriamo gli occhi e il cuore, rendiamoci disponibili ad accogliere l’annuncio della Pasqua, e lasciamoci inondare dalla luce e dalla gioia della risurrezione di Cristo, fonte di una speranza indistruttibile, capace di attraversare ogni notte, nella certezza che l’alba ci attende e verrà. Amen.