Dieci anni fa ci lasciava Mons. Angelo Comini

Fu rettore del Collegio Borromeo negli anni difficili dei movimenti studenteschi e direttore per anni dell’ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Pavia. Ma anche fraterno amico di una figura importante come il dottor Bertolotti, il ginecologo della vita, e di Mons. Cesare Angelini che di lui scrisse che aveva «perizia di latinista e pietà di sacerdote».
Sono già passati 10 anni dalla morte di Monsignor Angelo Comini, mancato il primo giorno di settembre del 2011 all’età di 84 anni. Già parroco del Carmine fino al 2002 e principale artefice, da rettore borromaico, della visita di Papa Giovanni Paolo II a Pavia nel 1984, Mons. Comini era nato alla Bolognola, frazione di Villanterio ed era stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1951: docente di liturgia e latino in seminario dal 1954 al 1989, fu anche assistente della Federazione universitaria cattolica italiana dal 1954 al 1967. Da molti viene ricordato ancora oggi per la grande cultura, la disponibilità al confronto, la pacatezza e la sottile ironia con cui spesso raccontava (e affrontava) le vicende della vita.
Personalmente ne ricordo l’equilibrio e il sorriso quasi complice in due differenti occasioni: un viaggio a Roma per un incontro in Vaticano sulle comunicazioni sociali e una partecipazione comune ad un convegno, sempre in tema di comunicazioni, che si svolse a Caravaggio. In entrambi i casi Mons. Comini aveva intrattenuto i suoi compagni di avventura (c’ero anch’io, in rappresentanza di Radio Ticino) raccontando episodi della sua vita di rettore, in anni sicuramente non facili: bruciavano le contestazioni studentesche e una volta accadde che i ragazzi borromaici riuscirono a portare in collegio la segretaria del rettore del Ghislieri dichiarando di non volerla “rilasciare”. Si trattava di uno “scacco” all’autorità del rettore ghisleriano che, in persona, chiamò al telefono, in piena ira, il collegio “avverso”. Dall’altra parte del filo ecco la voce cordiale di Mons. Comini che riuscì a sbloccare una situazione indubbiamente tesa con rassicurazioni, tanta ironia e un notevole savoir-faire. Monsignore raccontava questa storia sorridendo e allo stesso tempo pesando le parole e gustando sia il piacere della narrazione che quello del ricordo. Parlava con garbo e scandendo i termini, sapendo coinvolgere i suoi uditori con la sua fine cultura, offerta spontaneamente e mai esibita.
Non smise mai, nonostante i numerosi impegni, di confessare, instaurando con i tanti fedeli un rapporto diretto e di sostegno, con lo scopo di rimanere accanto alla gente.
Si.Ra.
(articolo pubblicato su Il Ticino di venerdì 27 agosto).