L’omelia del Vescovo Corrado per la liturgia del Mercoledì delle Ceneri

Carissimi fratelli e sorelle,

 

La liturgia del mercoledì delle Ceneri racchiude un intenso richiamo ad assumere una posizione umana di verità, di fronte a Dio e a noi stessi. Il segno austero delle Ceneri e la Parola di Dio appena proclamata ci conducono a riscoprire ciò che siamo: creature fragili, mortali, ferite dal peccato, e tuttavia chiamate a stare sotto lo sguardo del Padre e a convertirci incessantemente a Colui che è il nostro redentore, il nostro liberatore. La cenere è segno della nostra condizione di esseri mortali, secondo le parole del libro della Genesi che accompagnano il rito dell’imposizione delle ceneri sul nostro capo: «Ricòrdati che sei polvere, e in polvere tornerai» (Cfr. Gen 3,19). Sono le parole di Dio rivolte all’uomo che ha peccato e che ha infranto l’alleanza di vita con il suo Creatore, e sono parole scomode, inattuali, in un tempo dove la morte è considerata un tabù da sottacere e da dimenticare, o un processo che alla fine l’uomo può gestire e controllare, scegliendo lui stesso quando e come morire. In realtà, se siamo leali con la nostra esperienza, non facciamo fatica a riconoscere che davvero siamo polvere, siamo esseri grandi e fragili, abitati da desideri immensi e segnati da molteplici limiti. Sentite come il Concilio Vaticano II nella costituzione Gaudium et spes descrive la condizione dell’uomo, e provate a confrontare l’immagine qui rappresentata con ciò che noi viviamo e sperimentiamo: «In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. È proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; d’altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe» (n. 10). Carissimi fratelli e sorelle, ricevere umilmente la cenere, chinando il capo, è un gesto di verità, con il quale riconosciamo il dramma che segna il nostro destino di esseri creati da Dio, che hanno ricevuto in dono l’essere e la vita, che si ritrovano con un desiderio aperto all’infinito, e che toccano con mano, ogni giorno, la loro incompiutezza, la contraddizione di una vita che non basta mai, insidiata dalla sofferenza e dal male. Siamo polvere, “quasi” un niente nell’immensa distesa del tempo e dello spazio, nell’inconcepibile ampiezza dell’universo e nella sequela di miliardi di anni che ci precedono. Eppure, abbiamo un cuore che non cessa di desiderare, abbiamo un’anima capace di abbracciare il tutto, siamo un punto infinitesimale del creato, ma cosciente, capace di conoscere, d’interrogarsi sul senso e sull’origine di tutto, capace d’entrare in relazione con Dio, il Dio creatore e vivente, che si è rivelato a noi, ci ha rivolto la sua parola, ci chiama a essere figli e amici suoi. La Quaresima è il tempo favorevole nel quale vogliamo stare sotto lo sguardo di Dio, «il Padre tuo che vede nel segreto» (Mt 6,4), e davanti alla potenza del suo amore, che ci ha tratto dal nulla e ci chiama a vivere l’alleanza con lui, possiamo riconoscere che siamo creature non solo finite, ma anche ribelli, che spesso viviamo nella dimenticanza di Dio, come se Lui non ci fosse, che siamo conniventi con il male. È il dramma del peccato, per questa strana debolezza che ci porta a decadere, a scegliere a volte il male, la meschinità, l’impurità, nonostante che il nostro cuore desideri il bene, l’amore bello e puro, la giustizia. La cenere così è anche segno di penitenza, della confessione dolorosa dei nostri peccati e dell’invocazione accorata del perdono. La bellissima preghiera del Salmo 50[51], che più volte ritorna nella liturgia quaresimale, è un testo da riprendere personalmente, come espressione della nostra domanda e del nostro grido a Dio:

«Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;

nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità.

Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro.

Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi.

Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto …

Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo.

Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito.

Rendimi la gioia della tua salvezza» (Sal 51, 3-6.12-14).

Quanta umanità e sapienza in queste parole: mai l’uomo è così grande come quando sa essere umile, vero con sé e con Dio, quando il pentimento per i suoi peccati si fa invocazione piena di dolore e di pace, di fiducia e di speranza, all’amore misericordioso del Padre. Accostarci al sacramento della della penitenza, è rivivere ogni volta l’incontro con questo amore, che ci permette di riconoscere il male che commettiamo, e di riprendere il nostro cammino, come un nuovo inizio. Fratelli e sorelle, così si rivolge a noi l’apostolo Paolo: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20). Quanto più ci lasciamo raggiungere dall’abbraccio del Padre, tanto più diventiamo capaci di amare, e di lottare contro un rischio terribile, richiamato dal Papa nel suo messaggio per la Quaresima di quest’anno, che riprende una parola di Gesù: «Per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti» (Mt 24,12). Il rischio tremendo di un mondo in cui si raffredda fino a spegnersi la carità, l’amore verso Dio e verso i fratelli: un amore che può raffreddarsi anche nelle nostre comunità, nella nostra città, nella nostra Italia in questo tempo in cui crescono segni preoccupanti di egoismo, di chiusura, di pregiudizio e condanna di chi è diverso da noi, di sospetto verso lo straniero, di violenza insensata sui deboli, sui piccoli, sulle donne. Ecco, come scrive Papa Francesco, «la Chiesa, nostra madre e maestra, assieme alla medicina, a volte amara, della verità, ci offre in questo tempo di Quaresima il dolce rimedio della preghiera, dell’elemosina e del digiuno», le tre opere di pietà di cui ci parla Gesù nel vangelo di stasera, invitandoci a viverle in modo autentico, non per essere ammirati e lodati, ma nel segreto, nell’interiore verità del nostro rapporto con il Padre. Accogliamo la parola di Cristo a vivere nella verità questi gesti antichi di conversione, accogliamo l’invito del Papa che si rivolge a tutti: «Vorrei che la mia voce giungesse al di là dei confini della Chiesa Cattolica, per raggiungere tutti voi, uomini e donne di buona volontà, aperti all’ascolto di Dio. Se come noi siete afflitti dal dilagare dell’iniquità nel mondo, se vi preoccupa il gelo che paralizza i cuori e le azioni, se vedete venire meno il senso di comune umanità, unitevi a noi per invocare insieme Dio, per digiunare insieme e insieme a noi donare quanto potete per aiutare i fratelli!». Che la Quaresima, che oggi iniziamo, sia tempo propizio in cui risvegliare l’amore come corrente di vita che ridona speranza e che trasforma i cuori. Amen!

+ Mons. Corrado Sanguineti (Vescovo di Pavia)