L’omelia del vescovo Sanguineti nella domenica delle Palme

Carissimi fratelli e sorelle,

entriamo nella Settimana Santa, nella quale la liturgia assume un ritmo più lento, quasi a scandire i giorni finali della vita terrena di Gesù, in una pacata e intensa contemplazione della Pasqua di morte e di risurrezione di Cristo. Entriamo in questo tempo, carico di grazia, rievocando l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, accolto festosamente dalla folla dei suoi discepoli, dai tanti umili e semplici che guardavano a lui con speranza, commossi e stupiti dai suoi gesti e dalle sue parole: ma il racconto che abbiamo ascoltato, prima di benedire le palme e gli ulivi, assume per noi un nuovo significato, nella luce degli eventi successivi, che culmineranno nelle ore della passione e nell’alba della Pasqua. Sì, fratelli e sorelle, proviamo un istante a guardare Gesù che entra a Gerusalemme, ad ascoltare ciò che le folle proclamano e ciò che i farisei affermano, nella luce di ciò che accadrà, perché è nella croce e nella risurrezione che Cristo svela a noi pienamente il suo volto di Messia e di Signore, e insieme svela il volto di Dio, come misericordia, come amore più potente del peccato e della morte! Luca nota che «Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme» (Lc 19,28) e con queste parole mostra la determinazione con la quale Cristo sta andando nella Città Santa, proprio perché si compia il mistero della sua Pasqua, da lui più volte annunciato ai discepoli: qui percepiamo tutta la libertà con cui Cristo vuole consegnarsi nelle mani degli uomini, e nelle mani del Padre, qui avvertiamo la sua signoria. Egli non subisce gli eventi, ma li domina e li accoglie, tanto che fin dall’inizio, inviando due discepoli a prendere il puledro, l’asinello su cui salirà, Gesù mostra di conoscere ciò che deve accadere e chiede di giustificare l’azione con parole autorevoli: «Il Signore ne ha bisogno» (Lc 19,31.34). Eppure, il Signore sceglie di entrare su un asinello, come un re mite e umile, non con segni di potenza, inerme, circondato e acclamato non da eserciti, ma dalla folla dei suoi discepoli, degli umili che lo amano e lo seguono, e le parole che noi riecheggiamo in ogni messa, al momento del Sanctus, esprimono il riconoscimento della regalità di Cristo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore» (Lc 19,38). Non sappiamo esattamente a che cosa pensassero i discepoli proclamando Gesù re: certamente riconoscono che in Gesù è presente la potenza di Dio, manifestata nei suoi prodigi e nei suoi miracoli, che egli è colui che viene nel nome del Signore! Tuttavia, forse pensano a un re che finalmente li libererà dal dominio dei romani, e che restaurerà il regno d’Israele. Ma, gli eventi della passione ci mostrano un re molto diverso dalle nostre immagini: un re povero, umiliato, «fino alla morte e una morte di croce», un re che ben presto non sarà più accompagnato dalle acclamazioni di gioia e di lode, ma dal coro degli insulti, degli scherni, dal grido «Sia crocifisso!», un re apparentemente sconfitto e debole. Fratelli e sorelle, nel racconto drammatico della passione, noi scopriamo la vera potenza di questo re, che è l’amore, un amore puro, totale e gratuito, un amore che abbraccia con il suo sguardo di pietà Pietro nella notte del rinnegamento, un amore che si rivolge con tenerezza alle donne sulla via del Calvario, un amore che giunge a invocare il perdono per i suoi carnefici – «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34) – , un amore che attraverso la discesa nel buio della morte, vince la morte e cancella ogni peccato. Questa è la misericordia che in questo Anno Santo siamo chiamati a riscoprire e ad accogliere, e il Signore crocifisso e risorto è la piena rivelazione della misericordia ormai presente nella nostra storia. Perciò vi invito carissimi, in questi giorni, a sostare nel silenzio davanti al crocifisso, nelle nostre case e nelle nostre chiese: la croce, come ricordava questa mattina papa Francesco, è la cattedra di Cristo, la cattedra che c’insegna e ci mostra la misericordia, questo amore sorprendente e impensabile, debole eppure più potente di ogni oscurità e di ogni miseria! Infine, nella scena gioiosa dell’ingresso a Gerusalemme, non manca l’intervento dei farisei che, infastiditi e irritati dalle grida e dalle acclamazioni, chiedono a Gesù: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli» (Lc 19,39). La risposta di Cristo esprime la gioia che egli condivide in quel momento e la sua approvazione per il giubilo dei discepoli: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19,40). Ma anche queste parole saranno illuminate dagli eventi della Pasqua, perché davvero, parleranno le pietre nel momento in cui i discepoli staranno in silenzio, nell’umiliazione dell’essere fuggiti, abbandonando il loro Maestro, o nella desolazione delle donne sotto la croce e davanti al corpo senza vita di Gesù: le pietre, in certo modo, grideranno, nell’alba della risurrezioni, la pietra rimossa dal sepolcro, muta, ma eloquente testimone della vittoria sulla morte. Fratelli e sorelle, in questa settimana, mettiamoci in ascolto di questo grido che sale dalla roccia del Golgota, bagnata dal sangue del nostro Redentore, e dalla roccia del sepolcro, custode del suo corpo senza vita, e testimone della sua risurrezione: si rinnovi così in noi la fiducia e la lieta certezza che l’ultima parola, su ogni oscurità possibile nella vita e nella storia di noi uomini, è la misericordia, l’amore invincibile e inesauribile del Padre in Cristo Gesù! Amen

+ Mons. Corrado Sanguineti

Vescovo della Diocesi di Pavia